Il Napoli intervenga sul razzismo degli juventini

Le interminabili discussioni sugli episodi di razzismo settimanale di cui sono vittime i napoletani mi stimolano un link con un’indimenticabile scena di “Natale in casa Cupiello”. Mi portano alla mente la violenta discussione che scaturisce a seguito della mancata menzione di Zio Pasqualino nella letterina di Natale preparata da Lucariello per i suoi familiari. Eduardo […]

Le interminabili discussioni sugli episodi di razzismo settimanale di cui sono vittime i napoletani mi stimolano un link con un’indimenticabile scena di “Natale in casa Cupiello”. Mi portano alla mente la violenta discussione che scaturisce a seguito della mancata menzione di Zio Pasqualino nella letterina di Natale preparata da Lucariello per i suoi familiari. Eduardo De Filippo prova a smorzare i toni, sferzando il fratello con una domanda tanto scontata quanto disarmante: ma se quello ti inserisce nella nota della salute, tu veramente campi cento anni?
Evidentemente no. Ma alcuni, proprio come lo Zio Pasqualino, ne fanno una questione di principio, una battaglia culturale, lottano contro i mulini a vento come Don Chisciotte. Eppure il Vesuvio non si risveglierà perché nelle curve degli stadi italiani lo si continua ad invocare. Quasi ad implorare. In effetti, gli Dei del calcio, quando vogliono, vedono e provvedono. Martedì sera, durante lo svolgimento della semifinale d’andata di coppa Italia, la curva bianconera si è lasciata andare al consueto coro “noi non siamo napoletani” (meno male verrebbe da dire!). Non appena è partito il solito concerto stonato, è arrivato puntuale il pareggio della Lazio. Beffardo e catartico. E’ bastato questo a silenziare quell’insieme di voci ripetitivo e banale. Quasi fastidioso.
A quel punto, per una sera gli ultras juventini hanno dovuto abbandonare il più familiare “Vesuvio, lavali col fuoco”. Era ampiamente da prevedere che il timido provvedimento del Giudice sportivo e la relativa ammenda, comminati alla società torinese in settimana, non avrebbero sortito gli effetti desiderati, non avrebbero frenato gli insulti. Come è, invece, accaduto dopo il gol di Mauri.
Questo dimostra che per attenuare o eliminare certi fenomeni, sintomo per lo più di inciviltà ed ignoranza, è necessario applicare le regole vigenti. Magari con maggiore severità. In questi casi, la chiusura di singoli settori o di tutto l’impianto non sembra affatto esagerata. Così come la individuazione dei singoli responsabili. Da mettere al bando, almeno negli stadi italiani.
Come già succede in Inghilterra. Per la verità, nel Regno Unito determinati comportamenti vengono puniti anche con la rigorosa applicazione del codice penale. Sarebbe francamente troppo. La stupidità non può essere considerata reato. Sarebbe inutile ingolfare ulteriormente il lavoro dei nostri Tribunali, fin troppo impegnati a reprimere faccende di maggior allarme sociale. Però la previsione di sanzioni amministrative che colpiscano pesantemente le tasche di questi buontemponi potrebbe rappresentare il vero deterrente. Far male ai loro portafogli, potrebbe indurli a modificare certe idee strampalate.
Per raggiungere questo obiettivo, occorre anche un deciso intervento della SCC Napoli e del Presidente De Laurentiis. Nel frattempo, non rifugiamoci nello sterile vittimismo, uno dei mali atavici del nostro popolo. Proviamo a reagire con l’ironia di sempre. La stessa che lasciò a bocca aperta i supporters veronesi una ventina di anni fa. Senza cadere nella provocazione. Il prossimo 1 marzo accogliamoli con una grande risata collettiva, quella che seppellirà ogni offesa gratuita, ridicolizzando gli autori di questi frequenti misfatti a reti unificate. In mondovisione.
Altrimenti faremo la fine di Zio Pasqualino, ci accontenteremo, accetteremo di farci trascinare nel fango. Vivremo cento anni ma “con qualche malattia”. E noi vogliamo, dobbiamo vivere a lungo e bene. Senza malattie.
Gianluca Spera

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