Juan Jesus è il campo che sovverte il rumore, l’erba che smentisce i media e gli influencer da tastiera
È arrivato nel 2021 quasi per sbaglio, poi è diventato una colonna. Non gioca sempre, ma quando gioca è come se fosse sempre stato lì. È un calcio antico che vince nel presente.

As Napoli 05/10/2025 - campionato di calcio serie A / Napoli-Genoa / foto Antonello Sammarco/Image Sport nella foto: Juan Jesus
Ode a Juan Jesus.
Juan Jesus è a Napoli e non chiede spazio: lo prende con il corpo, con lo sguardo, con quella calma che arriva solo a chi ha lavorato tanto e non deve dimostrare più nulla.
È qui dal 2021, arrivato quasi per sbaglio, a parametro zero, che è il modo in cui il calcio finge di dire “non vali”, mentre la vita prepara la smentita. Doveva essere una chioccia. È diventato una colonna. Juan Jesus non gioca sempre, ma quando gioca è come se fosse sempre stato lì. Non arretra di un passo, non di un minuto. Nelle due partite di Supercoppa resta in piedi come una promessa mantenuta: nessuna paura, nessuna concessione, nessuna distrazione. Difende lo spazio, difende il tempo, difende l’idea stessa di squadra. Il pallone passa, l’uomo no. La sua leadership non urla. Si muove. È il primo ad esultare, perché sa quanto costa ogni vittoria. È il primo a mettersi in mezzo quando un compagno cade, quando l’avversario allunga la gamba o lo sguardo. Protegge i suoi come si proteggono le cose preziose: senza clamore, senza esitazione.
È il difensore che difende anche ciò che non entra nelle statistiche. Bat Juan, come ama chiamarsi, è la dimostrazione vivente che il calcio è ancora lavoro. Applicazione. Ripetizione. Sudore. È il campo che sovverte il rumore, l’erba che smentisce i media, i social, gli influencer da tastiera. Mentre fuori si parla, lui dentro fa. Mentre fuori si giudica, lui tiene la linea. È un calcio antico che vince nel presente. La Roma lo ha lasciato andare, come ha fatto con Spinazzola, perché non ritenuto all’altezza. Succede spesso: il calcio guarda e non vede. Napoli invece guarda e riconosce. Qui Juan Jesus si prende due scudetti, una Supercoppa e qualcosa che non si compra: lo spogliatoio. Il rispetto dei compagni, che è il premio più difficile. Perché quello non lo assegna nessuna lega, lo concede solo chi sa. Juan Jesus è quello che entra e sistema.
Sono gli underdog che ci piacciono, quelli che scavano tra le pietre e fanno suonare hard rock con la delicatezza di una bossa nova. Quelli che arrivano senza clamore, lavorano, sorprendono e finiscono per diventare imprescindibili. Juan Jesus è l’emblema di questa contraddizione: potente e discreto, determinato e gentile, un uomo capace di trasformare il sacrificio in bellezza e la costanza in leggenda. Che parla e ordina senza comandare. Che guida senza mettersi davanti. È l’esperienza che non pesa, è la maturità che rende liberi gli altri.
In una squadra che vola, lui è l’equilibrio. In una città che sente il calcio come una questione di pelle, lui diventa uno di famiglia. Da Belo Horizonte a Napoli, arrivato per caso, rimasto per scelta. Juan Jesus non è una parentesi: è una riga sottolineata nella storia azzurra. E quando tutto il resto farà rumore e poi silenzio, resterà il ricordo di un uomo che non ha mai arretrato. Nemmeno di un attimo È il volto di una fedeltà che non si misura con le statistiche, ma con il rispetto, con la presenza, con la capacità di tenere insieme uomini e sogni. È diventato un custode della maglia e merita tanta riconoscenza.











