Joe Cole: «Gli stadi avevano un suono diverso prima dei cellulari, dovrebbero vietarli»
Al Guardian: "Ricordo il rumore di migliaia di sedili che si chiudevano di scatto mentre la gente si alzava in piedi. Era il suono dell'approvazione. Ora la gente è distratta"

As Boleyn Ground (Inghilterra) 20/12/2009 - Premier League / West Ham United-Chelsea / foto Allstar/Image Sport nella foto: Joe Cole-Scott Parker ONLY ITALY
“Ero sotto i riflettori a 16 anni e mi sono ritrovato di fronte ai media. Cresci, diventi padre, ma sei ancora un calciatore. E poi, all’improvviso, tutto finisce, ma la tua intera identità ne è ancora avvolta“. Joe Cole è stato una leggenda del West Ham, del Chelsea, della nazionale inglese, “un anticonformista di talento che si è sempre sentito fuori dal tempo, giocando una partita anni avanti rispetto alla maggior parte dei suoi contemporanei”, scrive il Guardian che l’intervistato. Era un adolescente di Camden, che viveva in un quartiere popolare, quando finì sulla prima pagina del Sunday People. Il titolo urlava: “5.000 sterline a settimana e ha solo 16 anni!”. “La verità è che avrei potuto guadagnare molto di più se i miei genitori avessero manipolato l’interesse nei miei confronti da parte di tutti i grandi club inglesi”.
Era un tale prodigio che, nel 1994, Alex Ferguson chiamò il padre adottivo di Cole per dirgli che sapeva che il tredicenne Joe era un tifoso del Chelsea, ma gli avrebbe chiesto se gli sarebbe piaciuto essere la mascotte dello United per la finale di Fa Cup contro il Chelsea. George Cole chiese a suo figlio se volesse davvero unirsi allo United. Quando Joe rispose di no, rifiutarono l’offerta.
“C’è un insidioso elemento finanziario quando si tratta di bambini. Ai miei genitori venivano offerti un sacco di soldi e vacanze, ma loro avevano una morale. Mio padre non sapeva leggere e non aveva mai firmato un contratto in vita sua. Nel suo mondo, la parola data è un impegno. Nel calcio è molto raro. Qualsiasi cosa generi i soldi che guadagni nel calcio significa che arrivano i parassiti”.
“Non ho mai giocato una partita organizzata con arbitri, parastinchi e bandierine fino all’età di circa 11 anni. Poi ho iniziato a giocare per il Paddington Rec. Erano pessimi. Dovevo giocare in difesa perché era l’unico momento in cui riuscivo a prendere palla. Cercavo di dribblare tutti. Perdevamo 10-2 e io segnavo due gol”.
Cole ricorda “il rumore di migliaia di sedili che si chiudevano di scatto mentre la gente si alzava in piedi quando ho superato un avversario e sono corso verso la porta. Credo fermamente che gli stadi avessero un suono diverso prima che tutti noi avessimo i telefoni a distrarci. I tifosi erano immersi nel momento. C’era un’immediatezza di reazione che ora sembra leggermente ritardata, o un’intensità che ha perso i suoi contorni. Era un suono di approvazione. È come un giovane attore che dice di desiderare ardentemente il suono degli applausi. Da calciatore a cui piaceva giocare in modo artistico, sapevo che quel suono era riservato solo ai giocatori che sanno fare le cose in modo diverso. Ma non lo sentiamo più. Siamo tutti troppo attaccati al telefono. Mi piacerebbe vedere un divieto di utilizzo dei telefoni negli stadi”.
Cosa pensa Cole dell’attuale dipendenza dai gol su palla inattiva e dai lanci lunghi ? “È scattata una scintilla. Hanno capito che nessuno di questi difensori centrali di oggi sa come gestirli, come facevano 20 anni fa, perché il gioco è cambiato. Ora devono riadattarsi”.











