In bocca al lupo Spalletti, un tatuaggio non può essere per sempre: gli scudetti restano, gli allenatori passano

Vuole vedere muovere il pallone alla sua maniera, perché il calcio è schemi, sudore e letteratura. E lui che è nato nella Certaldo di Boccaccio, vuole scrivere un'altra novella

Spalletti

Mf Oslo 06/06/2025 - qualificazioni Mondiale 2026 / Norvegia-Italia / foto Michele Finessi/Image Sport nella foto: Luciano Spalletti

In bocca al lupo Spalletti, un tatuaggio non può essere per sempre: gli scudetti restano, gli allenatori passano

Un tatuaggio, come il diamante di una celebre pubblicità degli anni ‘40, è per sempre. O quasi. Lo sa bene Luciano Spalletti, ma anche Stefano Pioli che con la Fiorentina oramai è a un centimetro dall’esonero dopo essere tornato dal calcio dorato dei sauditi con grandi velleità (s’era offeso perché – pensa un po’ – Max Allegri non aveva inserito i viola tra le pretendenti alla Champions). Certo, a Lucianone nostro auguriamo miglior sorte dopo le figuracce in Nazionale (tira più una Playstation che una maglia azzurra, direbbe il coriaceo Acerbi). Lui, maestro di calcio e di vita, non poteva certo starsene nella sua tenuta di Montaione, nella malinconica campagna fiorentina, a fare il vignaiolo o raccogliere olive (a quello ci penserà la sua grande famiglia).

Lui ha bisogno di annusare sì l’erba, ma quella dei campi di gioco; e di spalancare gli occhioni spiritati davanti alle luci delle telecamere pronto a sparare le sue supercazzole che diventano aforismi (il vasto repertorio negli ultimi giorni è stato ripescato in tutte le salse dalle tv). Lui vuole vedere muovere il pallone alla sua maniera, perché il calcio è schemi, sudore e letteratura. E lui che è nato nella Certaldo di Boccaccio non ha ancora finito di scrivere la sua personale raccolta di novelle pallonare, rifugiato nello spogliatoio con la squadra di turno (sono undici con la Juventus, quindi sarà Undecameron?) per fuggire dalla peste dell’oblìo.

Perché lui, Lucianone nostro, all’amor cortese pare crederci veramente. Peccato che a volte sconfini nel populismo che tanto va di moda in questi tempi di Belve e Ritedecrescenzo. E allora neanche un tatuaggio può essere per sempre, soprattutto nel calcio: gli scudetti restano, gli allenatori passano. Da una maglia all’altra. E ogni volta è una storia – o meglio una novella – diversa, con un re diverso. In bocca al lupo Lucianone nostro!

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