Il calcio è un’industria che si regge su dramma precoce e sofferenza, guardate Real e Barça (El Paìs)
"Il Barça per due sconfitte è già alla seconda estrema unzione della stagione, il Real è primo e in crisi. Una specialità della Spagna. L'alternativa? Uno sport civile e piatto: che orrore!"

Barcellona 30/04/2025 - Champions League / Barcellona-Inter / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Hansi Flick
“Il Barça è già alla seconda estrema unzione della stagione”, scrive El Paìs. Che è “una tradizione tanto catalana quanto i calçots o i panellets, esportata nel mondo intero dalla cinghia di trasmissione blaugrana”. “Basta una sconfitta al Bernabéu perché qualsiasi tifoso attivi la modalità “stagione persa”, anche se il calendario consiglierebbe ancora pazienza nell’accendere il riscaldamento. Se a questo aggiungiamo un secondo inciampo, come quello di Londra, lo stato di allarme è praticamente totale: se la cultura del panico fosse quotata in borsa, il Barça sarebbe oggi il re dell’Ibex 35″.
Il bello, continua Rafa Cabeleira, è che anche al Real Madrid l’aria è funerea, nonostante sia in testa alla Liga e abbia la qualificazione Champions ben avviata: siamo alla “teoria dei vasi comunicanti, ora contagiosi. Xabi Alonso viene sommerso dalle critiche provenienti da nubi che nemmeno lui sa localizzare, al punto che ha preso piede la voce secondo cui si giocherebbe il posto nelle prossime partite. Questa sì che è una tradizione madrilena e, di conseguenza, spagnola: non c’è nulla di più stabile in quella città, in questo paese, della sensazione di instabilità permanente sulla panchina blanca. Nella casa del madridismo, un allenatore è sempre in crisi. Fa parte dell’ecosistema”.
“Tutto va a mille all’ora nelle grandi squadre del nostro calcio: troppo veloce per la logica, velocità di crociera per il cuore. Questo è l’unico sport in cui le sconfitte parziali vengono vissute come condanne definitive. Uno non ha un brutto giorno al lavoro e sente che la sua carriera è finita. Ma nel calcio, perdere due partite a novembre equivale a ricevere un burofax dal destino che avverte che, se arrivi a maggio, sarà per fallire. Il tifoso ha bisogno di emozionarsi quasi quanto di soffrire, per questo il sostenitore che si mostra soddisfatto in inverno è considerato un’anomalia scientifica”.
“A Madrid e Barcellona si subiscono diverse crisi di fede a stagione, quasi sempre ingiustificate, ma necessarie per mantenere un minimo di decoro esistenziale. Il dramma arriva presto perché le aspettative fioriscono ancora più in anticipo. Ad agosto siamo tutti campioni di qualcosa, ma arrivati a ottobre, o a novembre, tutto cambia a seconda della capacità di ciascuno di dissolvere l’euforia: nulla viene ammortizzato nel mondo del calcio più velocemente dell’entusiasmo, per questo lo consumiamo a cucchiaiate”.
La primavera poi, è “il momento della redenzione generalizzata: chi prima chiedeva di ricostruire, ora si attribuisce meriti che non sono mai stati suoi. Alla fine, tutto si riassume nel fatto che il calcio è un mercato libero dove il dramma vende, la speranza si ricicla e le certezze si inventano. Per questo ci piace. Perché senza fuoco non c’è passione e senza passione, cosa ci resterebbe? Uno sport logico, piatto, noioso, civilizzato. L’orrore”.











