El País ricorda Pasolini: «Sono rimasto fermo all’idealismo del liceo, quando giocare con un pallone era la cosa più bella del mondo»
Per Pasolini il calcio era era l’ultima liturgia capace di unire gli italiani, un atto di intelligenza collettiva: una coreografia in cui il popolo, senza saperlo, scriveva la propria epica

Pier Paolo Pasolini con la maglia del Genoa
Oriana Fallaci intervistò Pier Paolo Pasolini per L’Europeo nel 1966, Un marxista a New York. Pasolini le disse questa frase: «Amo la vita feroce, disperatamente. E amo la gente povera e viva».
La morte di Pasolini
El País ricorda:
“Pier Paolo Pasolini morì nella notte del 2 novembre 1975, 50 anni fa, sulla spiaggia di Ostia, vicino a Roma. Il suo corpo fu trovato all’alba: devastato, coperto di fango, con le tracce di un’auto — la sua — sul petto e il volto sfigurato. La polizia arrestò un ragazzo di 17 anni, Giuseppe ‘Pino’ Pelosi, che dichiarò di averlo ucciso per legittima difesa dopo una lite per motivi sessuali. Non aveva senso: ci furono persino testimoni che dissero di aver visto la macchina guidata da più persone dopo la morte di Pasolini. Il caso fu chiuso rapidamente, come se l’Italia avesse fretta di seppellire il poeta insieme allo scandalo.
Pasolini aveva appena presentato il film “Salò o le 120 giornate di Sodoma” e aveva annunciato di star scrivendo un libro sul potere e sulla corruzione.
Chi era?
Per chi non lo conoscesse ancora. Manuel Jabois de El País racconta:
“Pasolini fu cineasta, scrittore e calciatore: tre professioni che possiamo essere tutti semplicemente uscendo di casa. Giocava ore da bambino, giocava sui set, giocò fino alla fine. Diceva che il calcio era un linguaggio, uno strumento di comunicazione in cui bisognava distinguere i geniali imprevedibili (poeti) dai costruttori metodici del gioco (prosaici). Voleva il calcio come un linguaggio segreto. Nel fango dei campi improvvisati e negli stadi pieni di operai osservava quella che era l’ultima liturgia capace di unire gli italiani. Diceva che ogni gol era una poesia, un’irruzione di bellezza popolare in mezzo alla noia moderna. Il calcio non era evasione come per tanti, ma un atto di intelligenza collettiva: una coreografia in cui il popolo, senza saperlo, scriveva la propria epica. Tra rito e grammatica, Pasolini trovò nel gioco l’ultima forma innocente di comunità, la poesia del corpo prima della televisione”.
Una frase straordinaria da rileggere: «Sono rimasto fermo all’idealismo del liceo, quando giocare con un pallone era la cosa più bella del mondo»











