Vagnozzi: «Sinner in crisi? Ha vinto 2 Slam quest’anno e fa finali ogni settimana»
Al CorSport: «Non dobbiamo dimenticarci che ha vissuto mesi di difficoltà. A volte perdere serve a far capire a un giocatore che può essere il momento di cambiare qualcosa».

Melbourne (Australia) 28/01/2024 - finale Australian Open / foto Imago/Image Sport nella foto: Jannik Sinner ONLY ITALY
Il coach di Jannik Sinner, Simone Vagnozzi, ha rilasciato un’intervista al Corriere dello Sport sul ciclo di successi del tennista altoatesino numero 2 al mondo e i momenti di difficoltà vissuti quest’anno.
L’intervista a Simone Vagnozzi, coach di Sinner
La finale degli US Open ha davvero cambiato qualcosa?
«La sconfitta di New York a mio parere non è così sorprendente. In quel momento Alcaraz stava psicologicamente, fisicamente e tennisticamente meglio di Jannik. Però non dobbiamo dimenticarci che anche lui ha vissuto cinque mesi di difficoltà, e pensare che oggi si prova a far passare Jannik come un giocatore in crisi in un anno in cui ha vinto 2 Slam e fa finale tutte le settimane. Lui sta facendo cose straordinarie. Poi, come tutti, vogliamo sempre migliorarci».
Accorgimenti tecnici?
«In alcuni momenti delle cose funzionano, in altri meno. Negli Stati Uniti Jannik non ha servito benissimo e abbiamo preso degli accorgimenti: il movimento è cambiato un giorno prima di arrivare in Cina. I primi giorni a Pechino si è adattato e poi ha servito molto bene. Poi nel gioco è chiaro vada inserito sempre qualcosa di nuovo, sennò diventiamo prevedibili. Questo non significa che Sinner debba diventare un tennista da serve and volley. Ci sono smorzate e slice, ma anche altre variazioni, che si tratti di prendere prima un lungolinea, rispondere più aggressivo, giocare un kick o andare al corpo. È semplicemente migliorarsi, non ci trovo nulla di sorprendente».
Jannik ha detto di non essersi sentito pronto a New York per quei cambiamenti, nonostante qualche avvisaglia. Quanto è diverso intervenire sul gioco di un numero 1 del mondo rispetto a quello di un ragazzo che lavora per arrivarci?
«Quando cerchi di diventare numero 1 è diverso da quando lo sei già e devi fare qualcosa per rimanerci. Alcuni cambiamenti possono sembrare più rischiosi. Jannik è abbastanza intelligente da capire se le nostre proposte possano essere giuste o sbagliate. Allo stesso tempo, noi dobbiamo lavorare su idee in cui lui crede, sennò non può funzionare. E a volte, anche perdere una partita serve a far capire a un giocatore che può essere il momento di mettere mano da qualche parte».
In Italia oggi Jannik è percepito come qualcosa di più di un semplice tennista, mentre Alcaraz sembra essersi liberato di quella pressione. Può essere un fattore?
«Credo si tratti anche di momenti di vita. Io vedo un Carlos Alcaraz molto più dentro a quello che fa, forse prima lo era meno».
Con Panichi cosa non è andato?
«Lui e Badio hanno fatto un ottimo lavoro. Semplicemente Jannik ha optato per un’altra strada, ma non credo ci sia nulla di strano».