Lo sport femminile sta capendo che non è vero che le atlete senza mestruazioni rendono di più (Athletic)

L'interruzione del ciclo provoca ovviamente problemi di salute. Le atlete hanno cominciato a ribellarsi, vittime della scienza sportiva costruita sul corpo maschile

Spagna Vilda rubiales mestruazioni

Spain's players celebrate their win in the Australia and New Zealand 2023 Women's World Cup semi-final football match between Spain and Sweden at Eden Park in Auckland on August 15, 2023. (Photo by Saeed KHAN / AFP)

Lo sport femminile e le mestruazioni. Una delle prime a parlarne fu Federica Pellegrini. Athletic dura un interessante articolo allo sport femminile d’élite, e al rapporto delle atlete col ciclo mestruale.

Veronica Ewers “said nothing”. Non disse nulla, nonostante i valori anomali del sangue e un ciclo scomparso da mesi. Quando il medico le spiegò che «è normale, sei un’atleta d’élite», lei accettò. Nessuno sembrava preoccuparsene. Aveva 31 anni e una carriera in crescita nel ciclismo professionistico. «Pensavo che quando una donna perde il ciclo, significa che è al massimo della forma», racconta oggi a The Athletic. Una convinzione diffusa, radicata nella cultura sportiva e nella retorica del sacrificio.

Chi è Veronica Ewers

Ewers aveva iniziato da giovane nel calcio, poi era passata al ciclismo, dove la determinazione e la disciplina le avevano permesso di arrivare fino al nono posto nel Tour de France 2022. Apparentemente tutto andava bene. Ma dietro le prestazioni c’era un corpo che cominciava a cedere. Nel 2023 arrivarono due fratture — clavicola e tallone — che la costrinsero a fermarsi. Gli esami successivi rivelarono la causa: era sull’orlo dell’osteoporosi. Il suo corpo, privo di ormoni da troppo tempo, aveva smesso di rigenerare la massa ossea.

Un terzo delle atlete ignora l’assenza delle mestruazioni nel ciclismo

Prosegue Athletic:

Secondo un’indagine del Female Athlete Health Report del 2023, oltre un terzo delle atlete ha dichiarato di aver ignorato l’assenza di mestruazioni, mentre un altro 30% ha ricevuto rassicurazioni mediche sul fatto che «è normale per chi si allena tanto». Dietro la formula “sport d’elite” si nasconde un problema sistemico: la salute femminile viene spesso sacrificata in nome della performance. La fisiologa Kerry McGawley lo riassume così: «Ogni settimana incontro atlete che non hanno più il ciclo. Alcune vengono persino rimproverate perché ce l’hanno ancora: vuol dire che non si allenano abbastanza. Nessuno se ne prende cura.» Alla radice c’è una cultura che celebra la resistenza al dolore come virtù assoluta. L’amenorrea — la scomparsa del ciclo — diventa una medaglia invisibile, la prova di aver spinto il corpo oltre. «Se cerchi scorciatoie verso il successo, la restrizione alimentare sembra la risposta», spiega Pippa Woolven, ex mezzofondista britannica e fondatrice di Project Red-S, che studia la Relative Energy Deficiency in Sport.

Perdita di densità ossea, disturbi ormonali, stanchezza cronica e problemi di fertilità

Il corpo diventa più veloce, ma si svuota. Negli ultimi anni, però, qualcosa sta cambiando. Dopo il Tour de France femminile 2023, la seconda classificata Demi Vollering ha rotto il silenzio: «Perché dobbiamo sacrificare la salute per vincere?», ha chiesto. «Voglio essere competitiva non per due anni, ma per dieci.» Le sue parole hanno spinto la Uci (Unione internazionale di ciclismo) a studiare nuovi protocolli di monitoraggio su salute ormonale e densità ossea. Parallelamente, la ricerca sta rivalutando il ruolo del ciclo mestruale come possibile alleato, non come ostacolo. «Il ciclo è un biomarcatore gratuito che gli uomini non hanno», spiega la fisiologa Georgie Bruinvels. «È la spia naturale che segnala equilibrio o squilibrio nel corpo.» Le varie fasi del ciclo, secondo gli studi più recenti, potrebbero addirittura offrire vantaggi competitivi: la cosiddetta “superpower phase”, in cui gli ormoni favoriscono energia e recupero, o quella luteale, perfetta per il riposo e la rigenerazione.

La scienza sportiva è stata costruita sul corpo maschile, anche nel ciclismo

«Le fluttuazioni ormonali femminili erano considerate un fastidio metodologico», denuncia McGawley. «Per decenni si è preferito ignorarle.» Bruinvels lo scoprì nel 2015, quando chiese campioni di sangue femminili per uno studio sull’endurance: «Mi diedero solo quelli degli uomini. Chiesi: dov’è il sangue delle donne?» Da quella mancanza nacque una nuova consapevolezza. «Nessuna sapeva davvero come funzionava il proprio corpo», racconta oggi. Ewers intanto è tornata in sella. Gli ormoni stanno risalendo, la densità ossea migliora. «Mentalmente, sono uscita dal buco», dice. «Voglio vincere il Tour de France. Tutti lo vogliono. Ma la vera domanda è: come impedire che le più giovani cadano nello stesso buco?»

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