Il Napoli 2 deve crescere e avvicinarsi al Napoli 1, per il bene del Napoli

A Lecce mezz'ora dei titolari può bastare ma per tenere fede alle ambizioni della squadra di Conte, i vari Lang, Elmas, Lucca dovranno crescere

Lucca Napoli

Napoli's Italian forward #27 Lorenzo Lucca reacts after missing a goal opportunity next to Cagliari's Italian midfielder #14 Alessandro Deiola during the Italian Serie A football match SSC Napoli vs Cagliari Calcio on August 30, 2025 at the Diego Armando-Maradona stadium. (Photo by CARLO HERMANN / AFP)

Il turn over e il Napoli 2

Può piacere o meno, ma tutte le squadre del mondo hanno delle rose a più livelli, nel senso che hanno giocatori con valori superiori rispetto ai loro compagni. Magari sì, nel calcio contemporaneo il concetto di titolare e il concetto di riserva sono obsoleti. Ma, a pensarci bene, anche il Real Madrid non ha un vero sostituto di Mbappé. Così come il Manchester City non ha un backup di Haaland. Potremmo andare avanti uscendo dalla galassia stratosferica di Real e City, tornando sulla Terra, ma il senso del discorso dovrebbe essere chiaro.

Questo preambolo serve a introdurre l’analisi di Lecce-Napoli 0-1, una partita scorbutica, anche noiosa se vogliamo, ma che Conte ha approcciato facendo delle scelte chiare, fondate sul turn over e sulla necessità di dosare le forze nel bel mezzo di un ciclo terribile, in vista di altre tre partite – Como ed Eintracht in casa, Bologna in trasferta – nei prossimi dieci giorni. E allora si può – anzi: si deve – spaccare l’analisi della partita in due parti: quella in cui ha giocato il Napoli 2, con Olivera, Lucca, Lang ed Elmas a centrocampo, e quella in cui ha giocato il Napoli 1, quella in cui Conte ha calato gli assi Spinazzola, Hojlund, David Neres e McTominay.

Ovviamente il Napoli 1 è una squadra molto più sicura e consapevole e pericolosa del Napoli 2, e non c’è niente di sbagliato o di cui rammaricarsi: per un club come il Napoli, è impossibile avere 17 o 18 giocatori con la stessa qualità. E allora ben vengano le gare in cui il Napoli 2 apparecchia la tavola per il Napoli 1, rischiando poco o nulla – come vedremo – e permettendo ai giocatori più forti di riposarsi, di recuperare energie. Di entrare quando manca mezz’ora alla fine per mettere le mani sui tre punti.

Il ritorno del 4-3-3, quello duro e puro

La formazione iniziale che Conte ha schierato a Lecce ha segnato il ritorno al 4-3-3 più ortodosso, almeno in fase di possesso: Di Lorenzo-Juan Jesus-Buongiorno-Olivera in difesa, Anguissa-Gilmour-Elmas a centrocampo, Politano-Lucca-Lang in attacco. Tutti nei propri slot, con immediata presa di possesso del pallone – la percentuale di possesso grezzo all’intervallo diceva 67% Napoli e 33% Lecce – ma anche con la sensazione che le linee di gioco fossero poche e fossero anche esplorate molto lentamente.

Merito di un Lecce diligente, attento, ma non così speculativo: fin dai primi istanti di gioco, infatti, la squadra di Di Francesco ha cercato di sporcare la prima costruzione del Napoli con un pressing non intensissimo, ok, ma comunque puntuale. Basato per altro su accoppiamenti mandati a memoria: Camarda seguiva il primo portatore, Coulibaly si staccava dagli altri centrocampisti e determinava il 4-4-2 in fase di non possesso, costringendo così Anguissa ad arretrare per creare un’ulteriore linea di passaggio.

Il Napoli, di fatto, costruisce gioco con il doble pivote

Quando la squadra di Conte riusciva a superare la prima pressione, il Lecce si ricompattava tutto dietro la linea di centrocampo e abbassava tantissimo il suo baricentro (posto a 40 metri nella prima frazione), chiedendo un enorme sacrificio a Banda e Pierotti, i due esterni offensivi: i loro ripiegamenti hanno fatto in modo che Politano e Lang non riuscissero mai a puntare i terzini (Danilo Veiga e Gallo) in situazione di uno contro uno. In condizioni del genere, per il Napoli non è stato facile creare occasioni da gol. Anche perché, di fatto, Lucca non ha mai potuto attaccare davvero la profondità. Di conseguenza, l’unica traccia sfruttabile dalla squadra di Conte era quella degli inserimenti da dietro. Soprattutto quelli di Olivera. Ed è proprio grazie a due incursioni del terzino uruguaiano che gli azzurri hanno creato le uniche vere palle gol del loro primo tempo.

Due azioni molto molto simile

I dati, in questo senso, non mentono: il Napoli è arrivato all’intervallo con 8 tiri tentati verso la porta di Falcone, ma con una sola conclusione finita nello specchio – proprio quella di Olivera. Gli 0,49 gol attesi rilevati da Sofascore sottolineano ancora di più l’inconsistenza degli azzurri in fase offensiva e il buon lavoro difensivo fatto dal Lecce. Che, però, ha pagato questo approccio in attacco: sempre guardando al solo primo tempo, la squadra di Di Francesco ha messo insieme un solo tiro tentato – Berisha da fuori area al minuto 25′ – e un dato di gol attesi pari a 0,1. Sì, si può dire: il Napoli visto nella prima frazione allo stadio Via del Mare non ha concesso nulla ai suoi avversari.

Il rigore di Camarda come spartiacque della partita

Si può dire la stessa cosa anche per la ripresa, visto che il rigore di Camarda è l’unico tiro in porta “costruito” dal Lecce dall’inizio della ripresa fino al minuto 68′. Anzi, si potrebbe anche aggiungere che il fallo di mano Juan Jesus è molto marginale, nel senso che non interrompe o comunque compromette un’azione molto pericolosa da parte della squadra di Di Francesco. Che però, allo stesso tempo, aveva approcciato la seconda frazione in maniera diversa rispetto alla prima. Forse ingolositi dalle difficoltà manifestate dal Napoli, i giallorossi hanno alzato il loro baricentro (portandolo fino a quota 50 metri) e hanno cercato di tenere di più il pallone. Non a caso, viene da dire, la percentuale di possesso grezzo registrata dal 46esimo fino al gol di Anguissa dice 55% Lecce e 45% Napoli.

Ripetiamo, a scanso di equivoci: il rigore poi sbagliato da Camarda è arrivato in modo casuale. Ma nel primo quarto d’ora della ripresa il Lecce ha tenuto un atteggiamento tattico diverso, significativamente più offensivo. È per questo che, dopo la parata di Milinkovic-Savic e lo scampato pericolo, Conte ha deciso di pescare dalla panchina e iniettare qualità nella sua squadra. Un po’ come se il rigore fallito dal Lecce fosse stato lo spartiacque non solo emotivo, ma anche tattico, della partita.

Il 4-4-2 del Napoli, sia in fase offensiva (in alto) che difensiva (sopra)

Come si vede in questi screen, infatti, dopo i cambi il Napoli si è disposto con uno schieramento più vicino al 4-2-4 che al 4-3-3. Possiamo dire 4-2-3-1, se volete, ma la sostanza resta la stessa. E l’uomo-cuneo tra centrocampo e attacco, noblesse obblige, è stato ovviamente Scott McTominay. Entrato al posto dell’acciaccato Politano, con il conseguente spostamento di David Neres a destra e di Elmas nel ruolo di esterno sinistro del tridente, lo scozzese ha iniziato fin da subito a muoversi come seconda punta accanto a Hojlund. E in quella posizione è stato decisivo per orchestrare e vivacizzare il gioco d’attacco, soprattutto in occasione degli inediti duetti con Elmas.

Grazie a questa nuova conformazione, il Napoli è riuscito ad alzare la pressione e a trovare il gol, tutto in pochi minuti. Otto, per l’esattezza, perché Conte effettua i cambi al minuto 61′ e il gol di Anguissa arriva al minuto 69′. Per capire cosa intendiamo, quando parliamo di pressione alta e dell’impatto di McTominay, ha senso rivedere l’azione da cui sono scaturiti i due corner consecutivi che hanno portato alla punizione battuta da Neres sul vertice dell’area di rigore. Al gol di Anguissa, quindi.

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Alta pressione

Ecco, questo è il senso del discorso fatto in apertura: con McTominay, con Hojlund, con David Neres in condizioni scintillanti, il Napoli è diventato una squadra difficile da contenere. Sia dal punto di vista fisico che tecnico. Il Lecce, protagonista di una prova difensiva accorta, anche tranquilla se vogliamo, è stato letteralmente travolto con poche semplici mosse. E con una manciata di minuti giocati ad alta intensità: quelli che sono serviti al Napoli per portarsi in vantaggio con il terzo gol stagionale di Frank Zambo Anguissa, vero uomo-simbolo e trascinatore della squadra di Conte in questo inizio di stagione.

L’andamento della gara al Via del Mare è un saggio breve di come e quanto la qualità dei giocatori sia decisamente più impattante, quindi più importante, dei piani tattici degli allenatori. O meglio: di come e quanto dei cambi di formazione possano cambiare il volto di una squadra che resta schierata con lo stesso modulo di gioco. Con McTominay al posto di Elmas e con Hojlund al posto di Lucca, il Napoli ha guadagnato in fisicità e verticalità. Il 4-3-3 è diventato qualcosa di leggermente diverso, ma soprattutto ha cambiato marcia. Ed è così che la squadra di Conte si è portata a casa i tre punti.

Controllo, gestione, sicurezza difensiva. E una riflessione su De Bruyne

Dopo il vantaggio, infatti, il Napoli ha continuato a comandare il gioco. Senza alzare più di tanto l’intensità, come se fosse entrato in modalità controllo e gestione. E infatti il Lecce è riuscito a mettere insieme solo 2 conclusioni verso la porta di Milinkovic-Savic. Una sugli sviluppi di un calcio d’angolo, con Coulibaly. E un’altra da 40 metri, cercata da Berisha.

Volendo mettere tutto in prospettiva, è questa la notizia migliore per il Napoli. Certo, il Lecce è una squadra con valori offensivi piuttosto bassi, finora solo Pisa, Verona, Genoa e Parma hanno segnato meno gol dei giallorossi (e hanno tutte una partita in meno). Ma al Via del Mare il Napoli non ha accusato neanche un momento di sbandamento, il 4-5-1/5-4-1 in fase di non possesso (l’ago della bilancia tra i due moduli è sempre Matteo Politano, deputato a mettersi sulla linea dei difensori in alcuni frangenti della gara) ha funzionato in maniera egregia. Non era capitato neanche contro avversarie come Cagliari, Pisa e Genoa.ù

Il 5-4-1 del Napoli in fase difensiva

E poi c’è da sottolineare il fatto che tutte queste buone indicazioni tattiche, così come il frangente ad alta intensità che ha determinato il gol decisivo di Anguissa, siano arrivate in un momento di pura emergenza-infortuni. Sì, perché il Napoli è andato in campo a Lecce senza Meret, Rrahmani e Lobotka, con Hojlund e David Neres appena recuperati e/o non al massimo della condizione. Inoltre era la prima partita (di tante) senza Kevin De Bruyne.

Ora, è chiaro che l’assenza del centrocampista belga abbia determinato il ritorno al 4-3-3 puro (almeno in fase di possesso) e a un approccio diverso, anche se non soprattutto dal punto di vista dei principi di gioco. Come ha detto Conte nel postpartita, però, pensare che il Napoli sia una squadra migliore senza De Bruyne è abbastanza avventuroso. Non fosse altro che per il buonissimo contributo in termini di partecipazione ai gol (quattro reti personali e due assist decisivi) offerto finora dal belga, senza arrivare a parlare della sua leadership. Probabilmente il Napoli senza De Bruyne è una squadra più lineare, più facile da equilibrare dal punto di vista tattico. Che può far detonare la sua qualità e la sua forza in maniera diversa. Ma il Napoli di e con De Bruyne, in questo inizio di stagione, aveva comunque vinto 7 partite su 11.

Conclusioni

Il Napoli torna da Lecce con tre punti che pesano, anche alla luce del risultato di Atalanta-Milan. Dalla Puglia, però, la squadra di Conte si porta via anche un po’ di certezze e un po’ di consapevolezze in più. Intanto perché è avvenuto il rientro di Hojlund, e poi perché David Neres ha confermato di essere in un ottimo momento di forma. Inoltre, la prima gara senza gol subiti dopo due mesi esatti – l’ultimo clean sheet risaliva alla partita di fine agosto contro il Cagliari – ha rimesso indietro le lancette alla stagione 2024/25. Come se la squadra di Conte fosse tornata alla sua essenza.

Allo stesso tempo, la gara contro il Lecce ha evidenziato come il Napoli possa e debba ancora crescere dal punto di vista della creatività e dell’efficacia offensiva. E poi, come detto in apertura, è venuta fuori una certa distanza tra il Napoli 1 e il Napoli 2. Certo, all’inizio di questa analisi abbiamo anche sottolineato come questa sia una situazione praticamente inevitabile, per un club con la dimensione del Napoli.

Ma è vero pure che i vari Lang, Elmas e Lucca hanno il dovere di alzare un po’ il loro livello, se vogliono mettere in difficoltà Conte nelle sue scelte. Al momento rappresentano delle pure alternative, sono dei giocatori che vengono buoni per la prima ora di gioco contro un Lecce, ma poi Conte deve affidarsi ai suoi assi per risolvere le partite. Alla lunga, questo gap qualitativo potrebbe avere un impatto negativo sulle ambizioni degli azzurri. E sarebbe davvero un peccato.

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