La crisi identitaria del West Ham è il futuro del calcio: distacco, comunità disgregate, solo affari (Guardian)

"Il West Ham dovrebbe essere uno dei club più facili da vendere nel calcio inglese: ha tutto. E invece è il simbolo di un mondo che ormai non c'è più"

Db Torino 14/03/2017 - Champions League / Juventus-Porto / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Nuno Espirito Santo

Se vogliamo capire, anche solo di sponda, dove sta andando il calcio dobbiamo guardare il West Ham. E’ un caso esemplare – scrive Jonathan Liew sul Guardian – di perdita definitiva di identità, punti di riferimento, tradizione.

“Cosa determina l’identità di una squadra di calcio? Il luogo, le persone, la storia, i ricordi, i simboli, i cori. Solo in base a queste materie prime, il West Ham dovrebbe essere uno dei club più facili da vendere nel calcio inglese: un’istituzione dell’East London che attrae 62.000 spettatori a settimana, l’ottavo club più longevo della Premier League. In un campionato gestito da fondi e strumenti di investimento poco trasparenti, è uno dei pochissimi a essere di proprietà locale. David Sullivan è cresciuto a Hornchurch e il suo defunto comproprietario, David Gold, viveva in Green Street. C’è una cultura e un’autenticità, una comunità e un marchio globale, e un sacco di soldi da spendere. Come si fa a sbagliarsi così tanto?”.

“Forse il paradosso persistente del West Ham è che, pur essendo sempre stato un club di Londra, non è mai stato veramente un club londinese. Più correttamente, è un club dell’East End, una parte della città con il suo carattere e la sua prospettiva, i suoi rituali e il suo vernacolo, l’orgoglio brizzolato che deriva dall’essere degli outsider nella propria città. Non la Londra turistica, non la Londra dell’establishment, ma una sorta di fortezza fortificata dove tutti si tenevano stretti, dove tutti sapevano chi erano perché – cosa importante – tutti sapevano dove si trovavano”.

Tutto questo è in crisi. E per noi, che leggiamo di questa storia da lontano, è interessante perché “in un certo senso, la storia del West Ham è una parabola di qualcosa di più grande del West Ham stesso, qualcosa di più grande persino del calcio. Il senso di perdita e di dislocazione, le comunità disgregate e parcellizzate, la totale assenza di controllo e di azione, il sospetto che la tua fatica e le tue lacrime stiano rendendo ricco qualcun altro. E pochi luoghi hanno sopportato questo processo con la stessa rapidità e violenza di East London: una comunità sostanzialmente sradicata da se stessa, spogliata e gentrificata, inondata di investimenti che in qualche modo sembrano sempre confluire altrove”.

In Italia è d’attualità la possibile demolizione di San Siro per esempio. “Upton Park è ancora visitabile, ma oggigiorno ha un aspetto un po’ diverso. Il vecchio terreno è stato demolito e venduto per ricavarne abitazioni. Il Ken’s Café in Green Street ora si chiama Bad Boyz Diner. La vecchia sede del club dei tifosi è ora una palestra. Si può acquistare un appartamento a Lyall House o a Sealey Tower, passeggiare lungo Ironworks Way, sedersi nel giardino commemorativo di Boleyn Ground, che è stato progettato con un design a tema bolla. Luoghi, persone, storia, ricordi, simboli, canzoni, un concierge 24 ore su 24 e balconi privati. Oggigiorno ci si chiede chi sia il West Ham. Forse sarebbe meglio chiedere dove”.

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