«A volte ti sforzi così tanto per fare la pipì che scorreggi in faccia agli addetti anti-doping»
Draper, Monfils, Fish e altri hanno raccontato al Guardian la dura vita del tennista sottoposto ai controlli: "Una volta uno mi ha guardato dormire per 10 ore"

NEW YORK, NEW YORK - SEPTEMBER 06: Jack Draper of Great Britain reacts against Jannik Sinner of Italy during their Men's Singles Semifinal match on Day Twelve of the 2024 US Open at USTA Billie Jean King National Tennis Center on September 06, 2024 in the Flushing neighborhood of the Queens borough of New York City. Al Bello/Getty Images/AFP (Photo by AL BELLO / GETTY IMAGES NORTH AMERICA / Getty Images via AFP)
Grazie a Sinner abbiamo più o meno capito tutti come funziona l’antidoping nel tennis. Ma il dietro le quinte, dal punto di vista dei giocatori, è molto interessante. E’ una vita fatta di costrizioni, attese snervanti, episodi al limite del ridicolo. Il Guardian se l’è fatta raccontare dai protagonisti.
Uno dei requisiti per essere un giocatore d’élite – spiega il giornale inglese- è fornire la propria posizione per un’ora al giorno nell’ambito del sistema di reperibilità antidoping, che consente alle autorità antidoping di condurre test antidoping fuori dalle competizioni senza preavviso. Monfils racconta che una volta era tornato in stanza da una festa alle 5:45 del mattino e alle 6 bussò l’incaricato del “prelievo”. “Gli dico: fratello, non c’è possibilità che io possa fare adesso pipì. So che devi stare con me. Vieni nella mia stanza. Ho appoggiato una sedia. Lui era lì e gli ho detto: ‘Scusa, vado a dormire. Non so quando mi sveglierò, ma puoi guardarmi. Non è che non voglia fare pipì. Sarò sincero: sono stato fuori. Ho fatto pipì tipo cinque minuti fa. Non posso. Mi sono svegliato alle 15, il tizio stava controllando il telefono. Mi ha aspettato per 10 ore. Avrebbe potuto rubare tutto in casa mia”.
Tallon Griekspoor, il numero 1 olandese, ricorda una volta in cui un addetto al controllo antidoping ha trascorso tre ore sul suo divano: “Abbiamo riguardato una partita dell’Ajax per 90 minuti”.
Gli atleti possono anche essere contattati al di fuori dell’orario prestabilito, il che può essere fonte di irritazione per alcuni. Se un addetto al controllo antidoping chiama e si trova nelle vicinanze del luogo in cui si è svolto il test, il giocatore è obbligato a tornarvi immediatamente. L’anno scorso, Jakub Mensik ha dovuto lasciare la scuola superiore che frequenta per tornare a casa per un test. Gli ci sono volute tre ore per ottenere un campione.
Taylor Fritz una volta fu fermato da un addetto al controllo antidoping nella hall del suo hotel di Shanghai, mentre tornava da un lungo volo: “L’addetto era nella mia stanza e io facevo pisolini di 10 minuti alla volta perché ero molto stanco e avevo il jet lag. Continuavo a svegliarmi ogni 10 minuti per vedere se riuscivo a fare pipì, perché non ci riuscivo”.
L’addetto al controllo antidoping è anche tenuto a sorvegliare attentamente gli atleti mentre fanno pipì. Arthur Fils sottolinea la natura insolita di queste situazioni: “Uno sconosciuto che ti guarda mentre fai pipì è piuttosto duro. Ogni volta è una situazione strana”.
Ma Jack Draper va oltre: “A volte ti sforzi così forte che ti ritrovi a scoreggiare davanti a loro”.
Rublev dice che è anche una questione di abitudine. Vedere spesso le stesse facce aiuta: “A volte, se il ragazzo è un novellino o non l’ho mai visto prima, sarà un po’ come un preside: ‘Ora, abbassati i pantaloni fino alle ginocchia’. Io dico: ‘Amico, che differenza fa se fino alle ginocchia o no?’. E lui: ‘No, queste sono le regole. Tutti devono seguirle’.