Adani: «il calcio italiano è in mano a 4-5 intermediari, conta solo il business. Conte ha ragione sul mercato del Napoli»

Al Corsera: «Mai pentito di non aver fatto l'allenatore. Forse potrei fare il comunicatore di un tecnico o di una squadra. Allegri? Non sono ideologico, ora fa un calcio evoluto»

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Db Bologna 04/06/2022 - Nations League / Italia-Germania / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Daniele Adani

Adani: «il calcio italiano è in mano a 4-5 intermediari, conta solo il business. Conte ha ragione sul mercato del Napoli»

Lele Adani, ormai personaggio mediatico, intervistato dal Corriere della Sera a firma Daniele Dallera e Paolo Tomaselli.

La predominanza degli stranieri è causa o effetto di un problema?
«Se un giocatore è forte ed è un’operazione sana a tutti i livelli, allora conviene: l’Atalanta in questo è stata un modello. Ma se mancano sinergie e tutto si riduce a operazioni commerciali per guadagnarci, allora la crescita non c’è».

Sta accadendo questo?
«Ormai nel nostro Paese tutti sanno che ci sono quattro-cinque intermediari che hanno in mano il giochino del calcio. E non per forza conoscono i calciatori e le esigenze degli allenatori. Però bisogna passare da loro e alla fine conta solo il lucro: so anch’io che il calcio è un business ma così si perde valore».

Sono tre mesi che parla bene di Allegri: è la dimostrazione che la sua posizione nei confronti di Max non era ideologica?
«La battaglia ideologica la crea chi non ha argomenti. Chi ha argomenti guarda il gioco. E io vedo partite fatte bene, percorsi diversi, tendenze invertite. La strada c’è ed è una cosa bella per tutti».

Forse questo Milan è costruito meglio della ultima Juve di Allegri?
«Quella squadra i giocatori buoni li aveva: si può sempre perdere, intendiamoci, ma se non fai un calcio evoluto, io non posso far passare per buono ciò che non lo è. E il Milan di Udine si vede che è un’altra cosa».

Conte non si lamenta troppo?
«Non sono in disaccordo con lui: la squadra è stata allungata, non così rafforzata».

Lui ha qualcosa in più degli altri?
«Ha un rispetto unico del lavoro. Nessuno chiede tanto a sé stesso, allo staff e ai calciatori, come fa lui. Interiormente è quasi una missione. E poi si sottolinea troppo poco la sua evoluzione negli ultimi due anni: ha studiato tantissimo ed è tornato a sentirsi nei top 5 al mondo».

«Non allenerò: romperò ancora le scatole parlando». Rivela che De Zerbi gli ha detto che sarebbe disposto a tagliarsi lo stipendio pur di averlo con sé.

Le sue pulsioni da allenatore ci sono ancora?
«No e non mi sono mai pentito. Eppure c’è un mio amico allenatore che mi ha detto che è disposto a ridursi lo stipendio per avermi con lui».

Non è una mancanza di coraggio la sua?
«Assolutamente no, poi con tutti gli insulti che prendo da commentatore, coraggio ne ho (ride ndr). La passione per la comunicazione è fortissima».

Quindi in panchina mai?
«Forse in un ruolo nuovo, che unisca la parte calcistica a quella comunicativa, operando per un allenatore o una squadra, per arrivare più diretti alla gente: c’è ancora distacco fra chi fa il calcio vero e chi lo comunica. C’è una barriera». 

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