Il vero tennis non è Sinner: nell’inferno dei Challenger, dove giochi per sopravvivere (Guardian)
Oltre i top 100 i giocatori dormono per terra, condividono stanze di motel, non hanno soldi per cibo decente. Giocano di fronte a un uomo e al suo cane, in mezzo al nulla

Spain's Carlos Alcaraz celebrates after winning his men's singles final match against Germany's Alexander Zverev on Court Philippe-Chatrier on day fifteen of the French Open tennis tournament at the Roland Garros Complex in Paris on June 9, 2024. (Photo by ALAIN JOCARD / AFP)
Essendo ormai il tennis un fenomeno mondiale con una sola parola chiave – “Sinner” – sono in tantissimi quello che ignorano il purgatorio che c’è appena un livello sotto i campioni, al limite della top 100 Atp. I Challenger. I tornei “della sopravvivenza”. Il vero tennis pro, lontano dalle superstar. Lo dice meglio di tutti al Guardian Kevin Clancy, uno psicologo sportivo che ha lavorato con i migliori giocatori inglesi. Dice che tennis e golf siano gli sport più impegnativi di tutti dal punto di vista psicologico: “Circa il 20% del tempo sei in campo e colpisci la palla, quindi l’80% del tempo lo passi a pensare molto. Il tennis è uno sport che mentalmente può metterti a dura prova. Per i giocatori di livello Challenger, è una questione di sopravvivenza. Devono giocare più tornei e avere la pressione costante di dover dare il massimo e fare punti. Molte volte questi giocatori dormono per terra. Condividono magari una stanza di motel con altri giocatori. In alcuni casi potrebbero persino avere difficoltà ad avere abbastanza soldi per comprare del cibo decente. Questi giocatori giocano di fronte a un uomo e al suo cane, in mezzo al nulla. È davvero dura dal punto di vista psicologico”.
Garín c’è finito per un periodo e dice: “Le città e le condizioni non sono delle migliori, diverse da quando si giocano i tornei più importanti. I Challenger sono duri. A volte è frustrante perché fai molta strada per vincere 30 partite e sei ancora fuori dalla top 100. È davvero troppo”
E Dusan Lajovic, un tempo numero 23 al mondo, racconta: “Non si tratta solo di dritti e rovesci, ma di quanto si può soffrire? Quanto si può viaggiare? Quanto si può dormire in letti diversi ogni settimana? Prendiamo quasi tanti voli quanti ne prendono i piloti. È uno sport solitario. Quando hai 30 anni, cerchi di trovare un posto dove rifugiarti, di mettere su famiglia. Ma il tennis non te lo permette. Ha un impatto sul tuo corpo, sulla tua salute mentale”.
E nonostante tutti i loro sacrifici, il ritorno economico è tutt’altro che garantito. Nel 2024, Nikoloz Basilashvili è tornato in campo dopo un infortunio al gomito e ha guadagnato 63.183 dollari di premi in denaro. Ma dopo aver dedotto i costi di volo e pagato gli allenatori, il georgiano ha dichiarato di aver subito una perdita netta di circa 120.000 dollari: “Non so se esista un altro sport come questo, prendere un volo il giorno stesso in cui si gioca una partita e poi la settimana successiva ci si ritrova in un’altra città. Tutto quello che posso dire è che bisogna continuare a giocare, continuare a vincere. È così che funziona”.