Il modello di business del calcio italiano è indietro di vent’anni: sotto i diritti tv, niente. E i fatturati ristagnano

L'asse D'Alema-Berlusconi garantì l'età dell'oro a Juve, Milan e Inter. Fatturavano più di Bayern e Real Madrid. Ma il mercato ha le sue leggi e l'estero ci ha surclassati tra stadio, sponsor e merchandising

calcio italiano

Italian Outgoing Prime Minister Silvio Berlusconi (L) shakes hands with Italy's incoming center-left prime minister Romano Prodi (R) as leader of the Democrats of the Left (DS), Massimo D'Alema (Top) looks on during the third consecutive day of voting in Italy's presidential election at Montecitorio hall in Rome, 10 May 2006. The lawmakers failed in three consecutive votes to elect Italy's next president. AFP PHOTO / VINCENZO PINTO (Photo by VINCENZO PINTO / AFP)

Il modello di business del calcio italiano è indietro di vent’anni: sotto i diritti tv, niente. E i fatturati ristagnano

Mercoledì 28 maggio 2003, allo stadio Old Trafford di Manchester, si celebra il trionfo del calcio italiano: Juventus e Milan si sfidano nella finale di Champions, dove i rossoneri sono giunti avendo eliminato l’Inter: tre italiane nelle prime quattro sono la prova del dominio. Com’è stato possibile? Lo vedremo tra poco, non prima di aver sottolineato che proprio quella sera rappresenta anche l’inizio del declino: da allora le squadre italiane stanno perdendo terreno sulle rivali europee sia sotto il profilo economico che sotto quello sportivo. Certo, ci sono stati due altri successi – il Milan nel 2007 e l’Inter nel 2010 – e cinque finali perse, da ultimo la scoppola del Psg all’Inter, ma nel calcio 15 anni senza vittorie sono un’eternità.

UN SISTEMA COSTRUITO PER LE TRE STRISCIATE – L’era del calcio “in chiaro” finisce nel luglio 1993, quando la Lega calcio vende a Tele+ i diritti criptati di 28 partite di serie A e 32 di B. Questa modalità è messa ben presto in discussione, perché Milan e Juventus usano tutti i mezzi a disposizione per passare alla vendita individuale di ogni loro partita casalinga: del resto Berlusconi è proprietario del Milan, duopolista televisivo, presidente del Consiglio dal maggio 1994 al gennaio 1995 e capo dell’opposizione fino al 2001, e casa Agnelli è storicamente abituata, nei momenti di necessità, a usare il Parlamento italiano come proprio passacarte. Così, nel maggio 1998, Juventus e Milan forzano la mano, vendendo a Tele+ i diritti criptati delle loro partite casalinghe: Franco Carraro, presidente della Lega, si è distratto un attimo. E, a marzo 1999, il Parlamento – convertendo con modifiche un decreto legge del governo D’Alema a maggioranza di centro-sinistra – consacra la situazione con la legge 78: così, i diritti criptati diventano individuali. Anche questo un classico, della serie Berlusconi abbaia e il centro-sinistra morde.

L’effetto è clamoroso: in base ai dati del centro studi della Lega calcio, le entrate da diritti audiovisivi si impennano in un anno da 447,3 a 990 miliardi di lire, 720 dei quali originati dai diritti criptati. Tradotto in euro, si passa in un sol colpo da 231 a 511 milioni, circa 372 dai diritti criptati: di questi, quasi il 40% inonda le casse di Juventus, Milan e Inter.

Chiaro ed evidente il progetto: la serie A finanzia, attraverso la tv, la competitività delle tre grandi del nord. E le altre 15 società? Alcune cieche, la gran parte sottomesse e desiderose delle briciole, pochissime recalcitranti ma impotenti.

IL CALCIO ITALIANO SULLA VETTA D’EUROPA
Nella stagione 1999-2000, la spinta data dalle tv a pagamento – a Tele+ si è aggiunta Stream – proietta le squadre italiane ai primi posti del fatturato: anche perché l’ancor giovane Premier inglese – è nata sette anni prima – incassa dalla vendita dei diritti tv l’equivalente di 300 milioni di euro. Ciò si riflette sui ricavi complessivi: secondo il Deloitte Football Money League – che studia i conti, rendendo omogenei i fatturati, sia convertendoli tutti in euro che eliminando le plusvalenze sulle vendite dei calciatori – sul podio ci sono Manchester United, Real Madrid e Bayern, tallonate da Milan, Juventus e Lazio (i capitolini sull’onda della quotazione in Borsa del maggio 1998) con l’Inter nona. E le distanze? Non abissali: 45,5 milioni tra i 186,1 del Manchester e i 140,6 della Juventus, quinta.

Nel 2002-2003, la forza economica delle tre strisciate è ancora più chiara: dietro il solito Manchester United, ci sono Juventus e Milan, che hanno scavalcato Real Madrid e Bayern, e poi c’è l’Inter. A far pendere la bilancia a favore degli inglesi sono i ricavi da stadio: 101,4 milioni contro i 32,9 dell’Inter, i 32,4 del Milan e i 22,6 della Juventus, che non ha ancora abbattuto il Delle Alpi. Invece, per i diritti tv le italiane sono sul podio: 116,7 milioni la Juventus, 110,2 il Milan, 92,6 l’Inter, contro gli 83,6 dello United e i 66,2 del Real.

COMINCIA IL DECLINO
Nel 2004-2005, il Real scalza il Manchester United dal primo posto, 275,7 milioni contro 246,4, ma Milan e Juventus sono immediatamente dietro con 234 e 229,4 milioni. Nona l’Inter: il modello basato sui ricavi tv regge perché le tre del nord incassano più di tutte e sono le uniche sopra i 100 milioni. Ma è un modello di corto respiro: anzitutto, perché le concorrenti stanno sviluppando i ricavi da stadio, le sponsorizzazioni e la vendita del materiale ufficiale, e poi perché nel gennaio 2008 interverrà la legge Melandri, rendendo un po’ meno squilibrata la ripartizione dei diritti tv tra le 20 squadre di serie A. Così, nel 2010-2011, la prima italiana in classifica è al settimo posto: il Milan. Ma un dato salta agli occhi: il fatturato dei rossoneri è di 235,1 milioni, simile ai 234 di sei anni prima, mentre il Real mantiene la vetta, ma con ricavi volati a 479,5 milioni: fosse una gara di formula uno, il Milan sarebbe stato doppiato. Passano cinque anni, e nelle prime dieci c’è solo la Juventus, fanalino di coda: la precedono, in ordine sparso, cinque inglesi, due spagnole, Bayern e Psg.

E si arriva ai giorni nostri: nella stagione 2023-2024, l’ultima di cui si dispongano i bilanci, il Real è il primo a sfondare il muro del miliardo di fatturato: seguono le due nuove ricche, Manchester City e Psg rispettivamente trainate dai soldi emiratini e qatarini. E le italiane? Sempre più indietro: 13esimo il Milan, 14esima l’Inter e 16esima la Juventus. Anche aggiungessimo le plusvalenze, escluse dall’analisi di Deloitte, cambierebbe solo la posizione tra le milanesi, con l’Inter 13esima e il Milan 14esimo, rispettivamente con un fatturato di 473,21 e 456,94 milioni: per entrambe è il livello più alto mai raggiunto. Ricordando i summenzionati 479,5 milioni del Real del 2010-2011, si può ben dire che le italiane stiano viaggiando con tredici anni di ritardo. Come fare a recuperarlo? Progettando la costruzione di nuovi stadi, in cui ridurre i posti meno remunerativi – leggasi popolari – e accrescere i salottini a disposizione delle aziende: e provando, beninteso, a trasferire sulla collettività la maggior parte possibile degli oneri di costruzione.

Correlate