Buffon ha fermato non solo Mancini, anche Mourinho ct dell’Italia. Adidas era pronta a mettere i soldi

Lo scrive Repubblica. Anche il Fenerbahce era un ostacolo (avrebbe voluto una penale). L'idea era tata lanciata da Dagospia.

cappellino Buffon

Italian national soccer team goalkeeper Gianluigi Buffon (R) poses a with a security agent after a training session at the Sendai Stadium, 25 May 2002. Italy is grouped with Ecuador, Croatia and Mexico in the 2002 FIFA World Cup first round. AFP PHOTO GERARD JULIEN (Photo by GERARD JULIEN / AFP)

Buffon ha fermato non solo Mancini, anche Mourinho ct dell’Italia. Adidas era pronta a mettere i soldi

Ieri lo abbiamo scritto in maniera piuttosto chiara: c’è un padrone dell’Italia, si chiama Gigi Buffon (“i potenti si comportano così”): ha giganteggiato nella conferenza stampa di ieri.

Nei giorni scorsi La Sicilia aveva scritto che Buffon aveva minacciato le dimissioni in caso di ritorno di Roberto Mancini (e ieri non ha smentito). Oggi Repubblica edizione on line aggiunge che Buffon ha fermato anche l’arrivo di Mourinho sulla panchina dell’Italia. Il suo nome era stato lanciato da Dagospia e l’idea si era fatta strada in Federazione. Poi è accaduto quel che racconta Repubblica.it con Matteo Pinci:

José Mourinho allenatore della Nazionale. No, non è stata solo una suggestione mediatica. L’ipotesi per qualche ora, forse un paio di giorni, è stata davvero sul tavolo, prima che la Figc scegliesse Gattuso. Con uno sponsor che ha spinto perché questa possibilità si verificasse.

A spingere per lui, soprattutto, l’Adidas. Il marchio di abbigliamento tedesco è lo sponsor della Nazionale italiana che nel tricolore ha investito, dal 2023, una cifra non trascurabile, e che ha già visto sfumare un Mondiale. Per valorizzare il marchio su cui ha puntato avrebbe apprezzato una figura riconoscibile, di altissimo profilo internazionale e sarebbe stata disposta a contribuire alla parte economica dell’operazione. Pur di avere un nome che, agli occhi del management di Adidas, potesse rappresentare una garanzia di risultati, soprattutto in vista del Mondiale del 2026: perderne un altro avrebbe rappresentato un danno macroscopico. Anche per la Figc, visto che perderebbe una parte significativa della cifra garantita dallo sponsor.

Secondo Repubblica sue sono stati gli ostacoli. Uno rappresentato dal Fenerbahçe che avrebbe voluto una sostanziosa penale. Proposta, scrive Repubblica, irricevibile per la Figc.

Il secondo ostacolo ha un nome e un cognome: Gigi Buffon, Il capo delegazione e direttore sportivo azzurro infatti si era convinto che per rinascere all’Italia servisse una figura diversa, un totem azzurro, uno degli eroi di Berlino. E Gattuso, fin da subito, era il nome nella testa dell’ex capitano.

Buffon gigante da Prima Repubblica: il potere, quello vero, si comporta così (il Napolista)

Ci sono tre persone al tavolo dei relatori della conferenza di presentazione di Rino Gattuso nuovo commissario tecnico della Nazionale. Il primo è Gravina, il presidente della Federcalcio, che ha parlato in apertura. È il padrone di casa. Ha spiegato la scelta di Gattuso e bla bla bla. Il secondo è l’attore protagonista, il prescelto, l’uomo da copertina. Ha risposto a tutte le domande. Il terzo è rimasto in silenzio. Ha parlato solo quando è stato interpellato. Secondo un vecchio adagio di filosofia della politica, il potere di una persona è inversamente proporzionale al suo grado di esposizione. Non sappiamo se sia vero. Di certo era un caposaldo della Prima Repubblica, quando i politici apparivano il meno possibile e, quando invitati a parlare, si esprimevano – vivaddio – in politichese e non conoscevano altra cifra che quella della complessità.

Gravina ha mostrato impaccio all’unica domanda ricevuta, quella su Ranieri. Gattuso agli esordi delle sue avventure sposa sempre il low profile, però poi alla domanda sugli scarsi risultati ottenuti si è irrigidito. Lui, il democristiano di lungo corso (anche se forse la definizione non gli farà piacere), invece non si è minimamente scomposto alla domanda sulla notizia pubblicata da La Sicilia (e mai smentita) di sue minacce di dimissioni in caso di ritorno di Roberto Mancini. Che, per inciso, ci pare che non lo portò agli Europei vinti in Inghilterra.

Come i veri uomini di potere, Buffon se l’era preparata la risposta. E ha saputo anche fingere stupore e improvvisazione. “Come faccio a dimettermi se ho un contratto annuale che scade a fine giugno?” Ma non ha smentito. Né si è scomposto. Come quando giocava. Non si è reso protagonista del tradizionale numero sui giornalisti che inventano tutto, che lui mai e poi mai e corbellerie simili. No. Ha risposto alla Andreotti. E poi ha parlato di scelta condivisa alternando prima persona singolare e plurale. In modo da rendere chiaro il concetto.

Peraltro nelle due risposte ha espresso concetti chiari e decisamente non banali. Ha parlato di scelta funzionale, la più adatta al momento. Ha preso spunto dalla domanda che ricordava gli elogi di Luis Enrique a Gattuso per dire la sua sulla tendenza ad affibbiare etichette. Buffon in purezza. Poche parole, ma chiare. Come quando, all’indomani della sconfitta interna col Napoli (il colpo di testa di Koulibaly), spiegò così il confronto che c’era stato nello spogliatoio bianconero: «Chi doveva parlare, ha parlato. Chi doveva ascoltare, ha ascoltato». Per quelli che proprio non avessero ricevuto il messaggio di oggi in conferenza, ha concluso così: «Sono responsabilità che si prendono, poi sarà il tempo a dire se è stata una scelta giusta o no e pronti a fare un passo indietro». Potrà avere tanti difetti Buffon, di certo – per dirla parafrasando Jep Gambardella – non è oscuro.

Correlate