Scoop: il Napoli di Maradona vinse il suo primo scudetto perché l’Inter crollò. Il resto è narrazione artificiale
Breve guida per disinnescare i falsi storici che accompagnano le poche vittorie del Napoli. La storia corre in soccorso di chi vince. Conte lo sa bene: se perde, sarà mortificato dai terrapiattisti del pallone

1987 archivio Storico Image Sport / Napoli / Diego Armando Maradona-Giulio Nuciari / foto MB/Image Sport
Scoop: il Napoli di Maradona vinse il suo primo scudetto perché l’Inter crollò. Il resto è narrazione artificiale
Dopo aver frantumato gli zebedei che no, non è un miracolo. Che il Napoli è fortissimo. Che Flick a inizio stagione piangeva (e da gennaio in poi si disperava proprio) perché voleva essere lui sulla panchina del Napoli invece di marcire a Barcellona con Yamal, Raphinha e Pedri. Ecco, dopo tutto questo (dati sempre causa e pretesto) s’avanza un altro tormentone: non lo vincerebbe il Napoli, non lo vincerebbe quell’antipatico usurpatore di Conte. Il condizionale è d’ultra obbligo. No, lo perderebbe l’Inter (sempre che lo perda, aggiungiamo noi). A questa frase, che possiamo definire l’equivalente di “donna con le palle” che fa scattare Jep Gambardella sulla terrazza contro la pseudo-Palomba, persino l’ormai taoista Napolista sente di non poter più attendere. Sente che è giunto il momento di raccontare le vittorie del Napoli di Maradona per quello che realmente sono state. La versione uncut. Come se ci trovassimo di fronte alle quasi quattro ore de “I cancelli del cielo” (Michael Cimino, che qualcuno ti abbia in gloria).
Partiamo. Con una breve premessa. La storia la fa chi vince. E la scrive e la tramanda chi vince. Sulle vittorie si architettano le leggende. Le bugie camuffate da verità. Quelli che perdono, possono solo tacere. Tanto se provano a ribellarsi, a contestare la versione dominante, si beccano solo le accuse di essere rosiconi.
Il primo scudetto in versione uncut
Ri-partiamo. Il Napoli il suo primo indimenticabile scudetto lo vinse – udite udite – perché l’Inter si schiantò. Si sgretolò. Si dissolse. Al punto da perdere finanche il secondo posto. Era la stagione 1986-87. Alla 24esima giornata il Napoli (dopo aver battuto la Juve al San Paolo per 2-1) aveva cinque punti di vantaggio su Inter e Roma: 36 a 31. Allora la vittoria valeva due punti. Il Napoli finì per vincere il campionato a 42 punti (una delle quote più basse di sempre). Nelle ultime sei giornate il Napoli totalizzò sei punti. Vinse una sola partita delle ultime sei. Ne pareggiò quattro e perse a Verona.
Che cosa successe? (Passiamo al presente storico). Succede che con cinque punti di vantaggio il Napoli va prima a Empoli e poi a Verona. A Empoli fa 0-0 e a Verona prende una scoppola che la metà basta: 3-0 e Maradona sbaglia pure un rigore. L’Inter si rifà sotto e va a meno due a quattro giornate dalla fine. Scoppia lo psicodramma in città. Do you know caccone? Arriva il Milan (lontanissimo parente di quello sacchiano dell’anno successivo) e il Napoli gioca un ottimo primo tempo, soprattutto finalizza le occasioni che costruisce. E segna due gol: il primo con Carnevale e il secondo è un gioiello di Maradona: un’opera d’arte. Nella ripresa, accorcia Virdis e finale agonizzante. Ma tutto è bene quel che finisce bene. Mancano tre giornate, due punti di vantaggio. Il Napoli va a Como e l’Inter di Trapattoni ad Ascoli.
Il Napoli a Como non è che gioca male. Di più. Non gioca. Oggi gli esteti avrebbero organizzato sit-in davanti al Centro Paradiso. Ci avrebbero ammorbato gli zebedei come nemmeno noi che siamo abituati possiamo immaginare. Allora non c’erano i social (altrimenti quel Napoli non avrebbe mai vinto) sennò sarebbe nata la pagina Facebook “Siamo sicuri che Maradona sia così forte?” Fatto sta che il Napoli a Como va sotto. Gol di Giunta nella ripresa. Poi il Como, per fortuna, si divora il secondo gol in contropiede. Il Napoli pareggia con un gol di Carnevale che stoppa platealmente di braccio in area (ma il Var non era nemmeno un gelato) ed è 1-1. Nel frattempo, l’Inter si liquefa ad Ascoli: perde 1-0. Invece di andare a più uno, il Napoli va a più tre a due giornate dalla fine. Non stiamo qui a raccontarvi Napoli-Fiorentina. Il 10 maggio (“9 maggio, m’è scurdato”). Il Napoli vince lo scudetto non perché batte la Fiorentina ma perché l’Inter perde anche a Bergamo (attenzione: non era l’Atalanta di oggi, quell’Atalanta retrocede all’ultima giornata). Ma chi se lo ricorda? Arriva il balsamo della storia che tutto purifica e abbellisce. E poi il Napoli pareggia pure ad Ascoli. Quella squadra era stracotta. Ma gli avversari erano più cotti di noi. C’è oggi qualcuno che lo ricorda? Avete mai letto: “Lo scudetto non l’ha vinto Maradona ma Agostini (non il Condor) che segnò il gol vittoria dell’Ascoli?” No, non l’avete mai letto. Ripetiamo, allora gli incompetenti al massimo parlavano al bar. Bastava prendersi il caffè a casa ed era risolto.
Ma oggi, a tre giorni dal D-Day, ci vogliamo rovinare. La Coppa Uefa del 1989 non la vogliamo ricordare?
Un breve passaggio sulla gara di ritorno dei quarti di finale: Napoli-Juventus. All’andata si perde 2-0, gol nientemeno che di Pasquale Bruno (proprio lui) e autorete di Corradini. Al ritorno il San Paolo è una polveriera. Fumogeni come se piovesse. Clima da “Ok Corral”. Eppure pronti via, Laudrup scatta sul filo del fuorigioco (ma perfettamente al di qua) e va in porta. Tutto finito dopo cinque minuti. Zero a uno. Ora il Napoli deve farne quattro. Ma…Attenzione. Il guardalinee sbandiera un fuorigioco inesistente, il Var non era manco nella testa di Aldo Biscardi. E si riparte da zero a zero. Finisce come sappiamo. Attenzione perché la storia si ripete in modo simile. Finale contro lo Stoccarda. La finale si gioca andata e ritorno. A Napoli la prima e i tedeschi segnano con l’emigrante Gaudino. Dopodiché, nella ripresa, al Napoli viene assegnato un rigore storico. Maradona controlla il pallone anche grazie a un colpo di mano e poi lo manda a sbattere sul braccio di un avversario. Rigore. Uno a uno e da lì poi il due a uno, il ritorno, la Coppa, il trionfo. La narrazione. I conquistadores. Eccetera eccetera. Il balsamo.
Il secondo scudetto
Del secondo scudetto forse non è nemmeno il caso di scrivere. Se il Napoli di Conte è accusato di giocare male, di vilipendio al football, quello di Bigon sarebbe stato chiamato in tribunale da una class action. “Attentato al possesso palla”, “mortificazione della masturbatio collettiva” che oggi è inderogabile. Senza masturbatio come fai a giocare a calcio? Quell’anno il Napoli gioca bene diciamo quattro partite: in casa contro Milan e Juventus, fuori ovviamente a Bologna e a Genova contro la Sampdoria che forse resta la più bella e la perde pure. Il Milan si suicida, perde tre partite delle ultime sette. A Bologna si salva solo grazie al guardalinee Nicchi che non vede un gol di Marronaro dentro di un metro. Poi, la storia vuole che ci si attacchi alla monetina di Bergamo. E all’arbitraggio di Lo Bello a Verona. Il Napoli si fa trovare pronto e vince. E poiché – come ripetuto fino alla noia – la storia la scrivono i vincitori, viene tramandata la bufala dell’inarrestabile Napoli di Maradona. La verità è molto più terra terra. Più realistica. Il calcio è come la vita. È sangue e merda. Si vince così. Non con la costruzione dal basso.
La cavalcata di Spalletti
Vi risparmiamo il capitolo sul Napoli di Spalletti. Sulla straordinarietà di quella stagione in cui si allineano i pianeti, tra calciatori tanto sconosciuti quanto forti, un Mondiale nel bel mezzo della stagione con pochissimi calciatori del Napoli e tutti che tornano a casa al massimo agli ottavi di finale. E nessuna rivale che imbrocca un’annata almeno accettabile. Eppure il Napoli crolla lo stesso. La paura arriva ugualmente ma il vantaggio è talmente ampio. Resta il tempo, però, per farsi eliminare dal Milan in Champions. A fine anno, anche consapevole dell’irripetibilità dell’evento, Luciano Spalletti – giustamente – saluta e se ne va. Nel suo libro scrive che se De Laurentiis si fosse comportato diversamente, sarebbe rimasto. Vi facciamo una confidenza: abbiamo parlato con le galline del Cioni e non ci credono nemmeno loro.
La narrazione è mistificazione. Antonio Conte – ci genuflettiamo nei secoli dei secoli – come tutti è appeso al risultato. Se il Napoli perderà lo scudetto, sarà ridotto a fettine dai terrapiattisti del football, sarà mortificato dai nullisti. Che altrimenti proveranno a dire che in squadra aveva Scholes, Giggs con una spruzzatina di George Best, o che gliel’avrà regalato l’Inter. Ma sarebbero squallori passeggeri. Poi, come sempre, la storia correrà in soccorso di chi vince. Proprio come è avvenuto in quelle rare, sporadiche, occasioni in cui il successo ha bagnato la Napoli del pallone.