Panatta: «Le donne nel tennis giocassero in un circuito a parte, così non vedremmo giocatrici che non pensano»
A Rai1 dopo la vittoria di Paolini: «Nel 95% dei casi insegnano loro a colpire forte, ma nel tennis ci sono le righe. La Gauff ha fatto una palla corta da dilettante»

Db Milano 10/10/2023 - photocall trasmissione Rai TV ‘La Domenica Sportiva’ / foto Daniele Buffa/Image nella foto: Adriano Panatta
Adriano Panatta, ex campione italiano di tennis e ora commentatore sportivo per la Rai, non le ha mandate a dire al termine della finale femminile degli Internazionali di Tennis di Roma. La vittoria schiacciante della Paolini su Coco Gauff per Panatta è stata straordinaria, eppure ha avuto qualcosa (ben di più, in realtà) da denunciare sul movimento tennistico femminile tutto, tacciato di non “saper pensare” e di tirare solo colpi potenti senza neanche guardare dove siano le righe, praticamente ammettendo che il tennis maschile sia più piacevole da guardare.
Panatta: «Nel tennis non vai avanti senza pensare, alle donne insegnano solo a colpire forte»
Di seguito quanto dichiarato in diretta televisiva dall’ex campione del Foro:
«Paolini è una giocatrice straordinaria, ma una giocatrice a quel livello lì (si riferisce alla Gauff ndr), numero 3 del mondo, dovrebbe imparare a giocare. Imparare a giocare sulla terra battuta mica fa male, ha fatto una palla corta che non ho visto neanche nel tennis tra due signore un po’ agée perché non glielo insegnano. Alle donne nel tennis insegnano solo a tirare forte senza pensare, e in questo sport non vai avanti senza pensare. Il 95% delle tenniste gioca come lei, vince chi sbaglia un po’ meno: è una noia mortale. Vedi gli uomini, vincono dappertutto: ora Sinner – o lo spero per lui – può vincere anche sulla terra. Le donne allora giocassero su un circuito a parte, sul cemento in America ed eviteremmo di vedere le cose che abbiamo visto oggi. Avete visto gli altri match? Giocano tutte uguali, tirano forte. Per carità è anche impressionante ma bisogna spiegare loro che ci sono le righe, c’è la rete.»