Mannaggia a Conte, quanto era bello giocare bene e non vincere: la sofferenza Napoli non la sopporta
Conte avrà l'eterna gratitudine di quella minoranza culturale che in città vive il calcio come sport e non come l'Edenlandia

Ni Napoli 24/11/2024 - campionato di calcio serie A / Napoli-Roma / foto Nicola Ianuale/Image Sport nella foto: Antonio Conte
Mannaggia a Conte, quanto era bello giocare bene e non vincere: la sofferenza Napoli non la sopporta
Lo scudetto del 1990, quello sancito da una zuccata di Marco Baroni, che Dio lo abbia gloria (anche da vivo…), è sempre stato considerato figlio di una gioia minore. Un po’ lo abbiamo sempre saputo. Le critiche immonde ricevute da Albertino Bigon in quella stagione, erano immonde come lo sono quelle ad Antonio Conte a novanta minuti dalla fine del campionato. Ce lo ha mostrato Luciano De Crescenzo, zuccherando la disperazione con l’umorismo. I napoletani detestano soffrire. Nel film dell’ex ingegnere dell’Ibm viene detto a chiare lettere. Sono a maggioranza bulgara epicurei i napoletani. Toglietegli il necessario, ma non il superfluo. Tagliate acqua, pane e vittorie, in cambio di belgiuoco, complotti arbitrati e tiriaggiro. È genetica questa subalternità filosofica. Questo dover vincere essendo belli. È disabitudine al successo. O forse non è chiaro lo scopo del calcio. Fare un gol in più dell’avversario. Concetto tanto elementare, quanto ermetico, per taluni. Davvero da fragili cercare solo il bello, il facile, il sereno nella vita. Segno di insicurezza. Ma che gusto ha tutto, senza la sofferenza? Senza quella linfa vitale che fa sì che ci si ritrovi a gustarsi un dramma sportivo, riuscendo a sopravvivere ed a prevalere (forse).
L’epilogo sarà dirimente, ma Antonio Conte a Napoli ha vinto a prescindere. La stagione che tramonta è stato un master di sport professionistico ad alto livello. Dove l’ossessione per la vittoria è l’unica religione. Per questo ancora non si è sciolto. Perché se non si vincerà non si sarà fatto nulla. Sarebbe tutta fatica e sofferenza sprecata. E, da juventino vero, avrà pace solo quando finirà il campionato in testa alla classifica. Conte ha mostrato come si vive una stagione con l’obiettivo unico di vincere. Non c’è spazio per nient’altro. Napoli non sarà mai pronta per uno del genere. È complesso vivere accanto a con chi ribolle ossessione per la vittoria. Talmente ossessionato che la pronuncia ogni mattina salutando la figlia. La sua ossessione l’ha portata ovunque. E i pochi che hanno avuto la fortuna di averlo dalla propria parte hanno vissuto al massimo delle proprie possibilità. Sapendo che nulla sarebbe mai stato come prima. Cercando altre strade per il successo. Tornerà a casa propria. Ma non potrà mai più essere quell’avversario insopportabile e nevrastenico che è sempre stato. Non avrà mai più quelle sembianze. Avrà l’eterna gratitudine da parte di coloro i quali capiscono che la vita è fatta di difficoltà, colpi bassi, imprevisti, accidenti, e che bevono sino all’ultimo il calice della vita.
Dovranno separarsi giocoforza Napoli ed Antonio Conte. Il contratto triennale è carta straccia. Le energie spese dal tecnico salentino in questi dieci mesi, sono quelle messe in preventivo per la durata del triennio contrattuale. Antonio Conte è una maschera di fatica e sopportazione. Ha vissuto in un anno tutto il peso delle aspettative di una piazza insopportabilmente pretenziosa. Insuperabilmente stupida. È riuscito, per quanto possibile, a spostare l’attenzione dalle magagne societarie ed a taluni disastrosi ingaggi di Giovanni Manna. Con una società che lo ha ascoltato fino ad un certo punto e poi lo ha abbandonato. Troppo navigato e forte per essere travolto dalle avversità. Conte è stato fisicamente il Napoli di questi dieci mesi. Nessun calciatore, nessun rappresentante della società è stato sotto i riflettori quanto lui. Si spera che l’anno contiano abbia insegnato qualcosa anche al presidente, sperando che quando avrà di nuovo microfono e telecamere per se non gli rinfacci la sua juventinità.
C’è sempre stata la profonda percezione che sarebbe stata un’annata cesariana: “veni, vidi, vici”. Conte avrà l’eterna gratitudine di quella minoranza culturale, che vive il calcio come sport e non come l’Edenlandia. Quelli che vivevano il Napoli già prima di quel buio tsunami culturale che è stato il sarrismo, identificato come latore di un riscatto socio culturale, pendente a sinistra. Adesso mancano gli ultimi novanta minuti di passione. La città ribolle di attesa. In tanti ricordano il quattro maggio 2023. Altri temono un altro primo maggio. L’opinione pubblica continua ad azzuffarsi in facezie irrilevanti. Con il Cagliari ci sarà da soffrire. Sarà anche quello uno psicodramma probabilmente. Come quello al Tardini. Il Napoli è sulle gambe. I giocatori boccheggiano, non sono lucidi. Le gambe sono pesanti. Vincerà chi rimarrà in piedi. Potrebbe non essere un happening festoso. Potrebbe essere una delusione bruciante. Conte soffrirà in tribuna. Come un tifoso qualsiasi. E per l’ultima volta sarà dalla parte del Napoli.