Conte, De Laurentiis e l’eterno richiamo della sceneggiata. Anche a Napoli ci si può dire addio in modo civile
Lo stupore per una cena di compleanno. Come se dovesse obbligatoriamente finire a pesci fetenti. Una città prigioniera degli stereotipi

Conte, De Laurentiis e l’eterno richiamo della sceneggiata. Anche a Napoli ci si può dire addio in modo civile
Il richiamo della sceneggiata dell’immenso Mario Merola è duro a morire. Non c’è niente da fare. Napoli soccomberà in eterno ai luoghi comuni che da sempre la divorano. Anche se si sta festeggiando uno scudetto (il quarto) vinto ancora una volta con una condotta lontana anni luce dagli stereotipi. Il Napoli ha conquistato lo scudetto perché De Laurentiis ha avuto il coraggio e la forza economica di andare a prendere sul mercato il miglior allenatore in circolazione, un vero e proprio specialista nel post-trauma, lo ha pagato profumatamente, e poi è andato all’incasso. Un allenatore, Conte, che segue un metodo rigido che quasi sempre lo conduce alla vittoria. Insomma di napoletaneria in questa vicenda non ci sono nemmeno le briciole. Tranne – lasciatecelo dire – la chiusura delle scuole lunedì in alcune zone della città per il bus scoperto del Napoli. Roba da quinto mondo.
Eppure quando si parla di Napoli, e nello specifico di una probabile separazione tra presidente e allenatore, l’immaginario è che debba finire a “pesci fetenti”. Per quale motivo due professionisti che hanno conquistato un traguardo importantissimo, non possano stare amabilmente a un tavolo a festeggiare un compleanno? Quando il Napoli si separò da Rafa Benitez (diretto al Real Madrid), si tenne una conferenza congiunta d’addio. E si era reduci da una stagione allora considerata disastrosa: quinto posto per un rigore sbagliato da Higuain nell’ultima partita, semifinale di Europa League, vittoria della Supercoppa italiana.
A maggior ragione oggi che De Laurentiis e Conte hanno vinto lo scudetto. Il rapporto tra i due ha funzionato. Conte, che è un professionista esemplare, ha trainato il Napoli fuori dalle sabbie mobili e addirittura lo ha portato alla conquista del tricolore. Con una squadra che non era certo la più forte e che si è addirittura indebolita strada facendo. Ma è la sua forza. Perciò costa tanto. Allo stesso tempo, però, va ricordato che il Napoli ha rimesso Antonio Conte al centro della scena calcistica. Dove lui merita di stare, certo. Ma in questo calcio folle, preda di nullismi estetici, uno come Conte era considerato quasi vintage, diciamo ingombrante. Tanto è vero che né il Milan né la Juventus la scorsa estate hanno avuto il coraggio di puntare su di lui e infatti si sono andati a schiantare.
È dura far comprendere che il Napoli non ha vinto grazie al cuore, all’emozione, alla sfogliatella, alla tarantella. Ha vinto grazie alla competenza, alla professionalità, alla solidità economico-finanziaria. Raggiunto l’obiettivo, anzi dopo essere andati al di là dell’obiettivo, ci si può salutare, abbracciare, invitare alla festa di compleanno, ringraziare reciprocamente. Lo si può fare anche a Napoli. Non c’è bisogno di finire a coltellate o a paccheri. Altro che isso, essa e ‘o malamente, potremmo essere davanti a un addio gestito alla perfezione.
Si dirà: con Spalletti è finita diversamente. Sì ma evidentemente c’era un altro tipo di rapporto. Ancelotti, esonerato brutalmente (è stata la fortuna di don Carlo), ha conservato un ottimo rapporto con Adl.
E poi, lasciateci aggiungere una cosa. Non c’è nulla di male se Antonio Conte dovesse tornare alla Juventus. È la sua casa. È cresciuto lì calcisticamente. È stato formato da gente come Boniperti e Trapattoni. Altrimenti col piffero che avrebbe guidato al successo il Napoli di quest’anno. Perché la Juventus è una grande scuola di vita e professionale. Non si vince a caso.
Per concludere, rassereniamoci, Conte e De Laurentiis possono stare serenamente al tavolo insieme. Poi stringersi la mano, abbracciarsi e dirsi addio. Proprio come a Padova o a Bruxelles. Che strano.