Il ct italiano della Spagna di basket al Paìs: “Nella società di highlights e like lo sport insegna a concentrarti sulla tua prestazione e non su quello che pensano gli altri, su ciò che conta, e non su ciò che la società vuole che tu veda”

Sergio Scariolo è un bresciano tignoso. E’ il ct della nazionale spagnola di basket, e lo sarà fino al 2028, quindi anche alle Olimpiadi. Ha appena rinnovato il contratto. “La Familia” ha già vinto quattro ori europei e due mondiali, due argenti olimpici a Pechino 2008 e Londra 2012. Nel basket l’argento dietro gli Stati Uniti brilla come un oro. Scariolo ora affronta la necessità di un ricambio generazionale. E ne parla a El Paìs.
“La realtà è diversa, gli obiettivi sono diversi, il termine su cui proiettiamo la ricerca dell’eccellenza è diverso, ed è diverso il concetto stesso di eccellenza: prima era inseguire una medaglia e ora è dare la versione migliore di noi stessi, provando a procedere nel ricambio generazionale mantenendo la massima competitività possibile nel presente. Nel 2028 con un po’ di fortuna e di successo potremo avere una squadra completamente rinnovata rispetto al passato, anche se molto è già cambiato, e con un’età media molto interessante per poter aprire un ciclo. L’approccio avrà le sue curve e dipenderà da come i giocatori si evolveranno in tutti i sensi. Questo non è qualcosa di matematico”.
“Capisco che i club che devono fare risultati e che non possono permettersi investimenti a medio termine debbano prendere decisioni basate sul presente. Ciò costringe i nostri giocatori ad accelerare. Per poter giocare devono essere migliori, competere allo stesso livello di giocatori stranieri più grandi di loro e con background molto diversi. Questa è la sfida e non è facile. Posso solo dire ai miei giocatori che, come tutte le sfide, se le attacchi e dai il massimo, hai maggiori possibilità di successo. A volte è una questione di conformità. I giocatori si accontentano, forse inconsciamente, di accettare la posizione privilegiata di far parte di squadre di alto livello, ben pagate, ben organizzate, e questo rischia di ammorbidire il loro istinto competitivo. Devono lottare per non conformarsi, per mettere in discussione le gerarchie, per ribellarsi alle linee stabilite. A volte accettano passivamente, lo noto ed è quello che mi fa incazzare di più, che si conformino e non si ribellino e non combattano”.
“La concorrenza è aumentata in modo esponenziale, il basket si gioca in sempre più posti, il cibo è migliore, il reclutamento di giocatori è aumentato, ad esempio in Africa… La portata della competizione è enorme. E quando ci sono buone condizioni di vita, permanenza confortevole, è difficile uscire dalla zona di comfort, per far emergere l’ambizione da dentro. Questo, sfidarsi, non accontentarsi, è ciò che fa migliorare un giocatore. È un peccato che senza rendersene conto si perdano stagioni e anni che non ritornano più”.
Pensa a Rudy Fernández, che giocherà la sua sesta Olimpiade a 39 anni… “Questa è la sua eredità, non accontentarsi, competere. Che pesasse 10 chili meno del suo rivale, non gli importava. Che fosse 10 centimetri più basso, non gli importava. Non gli importava di aver sbagliato tre tiri di fila prima. Il suo spirito competitivo non conosce scuse. Se vuoi delle giustificazioni, le trovi sempre. E lui, come chiunque, poteva trovarle, ma quando si trattava di competere non c’erano amici, compagni di squadra o allenatori. Era, ed è, lui con il suo orgoglio competitivo. Le sue condizioni fisiche sono cambiate, ma non le ha perse. La sua identità anticonformista è rimasta intatta. Ecco perché è un ottimo esempio. Perché è l’unico al mondo ad aver vinto sei Olimpiadi? Ha talento, sì, ma come gli altri giocatori. Istinto di gioco sì, tanto, ma come gli altri. Aggiungiamo questo alla sua ribellione, al fatto che non accetta di perdere senza lasciare in campo la sua pelle, i suoi muscoli, le sue ossa, che non è facile comunicare a parole”.
Scariolo fa un discorso più generale: “Questo è un mondo e una società in cui gli highlights, i like e le riproduzioni sui social determinano molto la vita dei giovani. Lo vedo nei miei figli e combatto contro questo. È una battaglia costante e permanente che lo sport ti aiuta a vincere, perché ti insegna a concentrarti sulla tua prestazione e non su quello che pensano gli altri. Ti insegna a prepararti, a competere. Racconta ciò che conta davvero, non ciò che la società vuole che tu veda”.