Al Corsera: «Io lascio sfogare le persone, gestisco l’odio sociale che emerge, accogliamo una parte di società che non accoglie nessuno»
Cruciani: «A La Zanzara facciamo la colonscopia agli italiani, vediamo prima che succede». Giuseppe Cruciani intervistato dal Corriere della Sera. Ha detto di aver votato Vannacci.
Nello spettacolo con cui sta riempiendo i teatri, Giuseppe Cruciani difende il diritto a odiare, il diritto ad alzare muri contro i migranti, il diritto all’egoismo, urla «non possiamo farci carico di tutti i mali del mondo». Quindi, spacca la scenografia, mostra «la piramide degli stron..i», dice «in cima, c’è il maschio bianco occidentale eterosessuale, io» e spacca pure quella. Nessuno più di lui incarna la ribellione al politicamente corretto.
Qual è l’insulto peggiore ricevuto?
«Servo della Meloni, lecchino, megafono delle destre, schifoso filoisraeliano. Ma gli insulti mi galvanizzano, perché ne riconosco l’origine».
La galvanizzano. Sta scherzando?
«Non per metterla sul piano alto, ma per dirla con David Parenzo che conduce con me, ogni giorno facciamo la colonscopia dell’italia. Per esempio, abbiamo visto l’ascesa della Lega e poi di Giorgia Meloni prima degli esiti elettorali».
La cosa politically correct che detesta di più?
«Considerare le persone sulla base delle preferenze sessuali. A me non frega se uno è bisessuale, trisessuale, se fa le orge, lo valuto per quello che è e pensa. La catalogazione Lgbtq+ è un’aberrazione, lo dico da libertario, non da moralista di destra, eppure passo per omofobo anche se sono a favore di adozioni gay, utero in affitto e matrimonio gay uguale a quello etero».
Cruciani, l’odio sociale e il linguaggio inclusivo
Si è chiesto se passa per omofobo perché, al contempo, definisce gli omosessuali con espressioni irripetibili?
Cruciani: «Io rivendico il diritto di dire frocio, culattone, finocchio, se non c’è l’intenzione di offendere. Il fatto che qualcuno possa sentirsi offeso non è un motivo per vietare una parola, invece i tribunali stanno diventando il braccio armato del politicamente corretto».
Se le sue intenzioni sono buone, che cosa le costa dire «omosessuale»?
«Sono contrario al linguaggio inclusivo: se inizi a imporlo, niente sarà mai abbastanza inclusivo. L’idea di limitare il linguaggio è totalitaria. Mi fa paura chi dice che i social dovrebbero essere liberi dall’odio. Se non ti piace essere insultato, basta non leggere i commenti. Gli haters non esistono, hanno vita solo perché gli diamo importanza. E poi: gridare all’odio, ormai, è un modo per fare carriera e avere visibilità, io detesto chi costruisce carriere sostenendo di essere vittima degli odiatori».
Ma quando lei apre il microfono a chi odia gay, immigrati, politici, non fa anche lei carriera e visibilità sfruttando l’odio?
«Io lascio sfogare le persone, gestisco l’odio sociale che emerge e, quando decido che è troppo, chiudo il microfono, ma non si può ridurre a questo quello che faccio alla radio. In due ore di trasmissione, raccontiamo la politica, le polemiche, i fatti del giorno, abbiamo ospiti non per forza estremi e momenti di comicità. E accogliamo una parte di società che non accoglie nessuno, quella complottista su vaccini, Stati Uniti, Putin, antisemitismo».
Sua figlia, 19 anni, come vive un padre bandiera del politicamente scorretto?
«Il tema non è affrontato. Sono separato da tanto, abitiamo vicini, ci vediamo, ma non parliamo di quello che faccio. Lei non mi ha mai fatto domande, io non le ho mai detto nulla».
In principio, la Zanzara era celebre per far dire cose impensabili ai politici.
«Non potevamo andare avanti a intervistare gente per mezz’ora cercando una frasetta da rilanciare. E poi c’è stato il caso Barilla, finito nei manuali di comunicazione in America. Pietro Barilla disse che non avrebbe mai fatto uno spot con una famiglia gay. Fu un turning point per noi: apparimmo come mostri che potevano rovinare un’azienda. Chi voleva venire in un posto così? Fu un momento drammatico».