Al Messaggero: «Non abbiamo voluto snaturarci come ci chiese Telé Santana. La nostra consolazione rimane che di quella squadra si parla ancora»

Paulo Roberto Falcao, ex calciatore della Roma, ha rilasciato un’intervista al Messaggero, un’occasione per parlare di calcio e rilanciare un appello per il suo Brasile colpito da un’alluvione disastrosa. Di seguito alcuni estratti dell’intervista.
Falcao: «Il calcio non è una questione di giustizia, è un gioco»
Per prima cosa, Falcao preferisce ricordare Agostino di Bartolomei:
«Agostino (Di Bartolomei, ndr). Nei giorni scorsi è stato l’anniversario dei 30 anni della sua morte. Per me è un ricordo sempre doloroso. Il nostro legame era così forte che tempo fa scrissi un libro “Storie di calcio” e gli dedicai un intero capitolo titolandolo “L’imperatore del centrocampo”. La prima volta che lo vidi, mi fece questa impressione. Con quel fare apparentemente scontroso, i capelli pettinati in avanti, somigliava a Caligola e nello spogliatoio in tanti iniziammo a chiamarlo così. Centrocampista tecnico, lancio lungo, intelligente in campo e fuori. Era un ragazzo molto serio, strappargli un sorriso non era facile ma sapeva anche scherzare. E poi, aveva una generosità fuori dal comune».
«Quando arrivai mi fece un po’ da Cicerone. Io non conoscevo nulla di Roma e lui mi portò in giro a pranzo, per negozi, dimostrandosi sempre molto disponibile. Tanti anni fa incontrai in una festa la moglie e il figlio Luca. Mi sembra fosse la ricorrenza degli 80 anni della Roma, ma potrei sbagliare. Per me era un amico, non riesco ancora a capacitarmi come possa essere accaduto. Con i ragazzi di quella Roma, anche se ci siamo persi inevitabilmente di vista, è capitato di riparlarne. Soprattutto con Bruno (Conti, ndr) e Righetti. Ho rivisto tempo fa anche Pruzzo e Turone in occasione di
un docufilm sul famoso gol di Ramon annullato nell’1981 che ci privò dello scudetto. Quando penso a loro c’è sempre tanto affetto».
Qualche ricordo anche sul Mondiale del 1982:
«Dovevamo vincere nell’82. Ma il calcio non è una questione di giustizia, è un gioco. Non abbiamo voluto snaturarci come ci chiese Telé Santana e l’abbiamo pagata. Pensi che Socrates aveva persino smesso di fumare. La nostra consolazione rimane che di quella squadra si parla ancora».
Difficile il contrario. Lei, Zico, Leandro, Junior, Eder, Cerezo, Socrates, Paulinho Isidoro…
«Eravamo fortissimi. Lo sa che mi disse una volta Zico? Paulo non potevamo farci nulla. Se avessimo segnato cinque gol, l’Italia ne avrebbe fatti sei».