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L’allenatore del Napoli non va scelto in base al gioco ma alla capacità di saldarsi con la squadra

A Napoli ha funzionato chi è riuscito a creare un corpo solo allenatore-squadra, prescindendo dalla società.

L’allenatore del Napoli non va scelto in base al gioco ma alla capacità di saldarsi con la squadra
Db Udine 04/05/2023 - campionato di calcio serie A / Udinese-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Luciano Spalletti

Come scegliere il prossimo allenatore del Napoli

Il tormentone che accompagnerà noi tifosi da qui all’estate è il nome del prossimo allenatore.

Non starò qui anch’io a fare il totonomi, né a esprimere la mia preferenza. Piuttosto, sulla base di quanto successo negli anni della gestione De Laurentiis, propongo quella che mi sembra la principale dote necessaria.

Non si tratta di moduli di gioco – 4-3-3, 5-3-2, ecc. ecc. – e tantomeno di principi di gioco; quanto piuttosto dell’aspetto caratteriale o – ancora meglio – dell’atteggiamento da assumere.

A Napoli hanno funzionato gli allenatori sanguigni, passionali, focosi. Si badi bene, non certo per la retorica del cuore che accompagna sempre tutto ciò che viene accostato a Napoli e a quell’oggetto misterioso che è la napoletanità, giustamente sempre stigmatizzata dal Napolista. Anzi, proprio per il suo opposto.

Con Mazzarri, ma, soprattutto, con Sarri e Spalletti hanno funzionato gli allenatori che si sono buttati anima e corpo dentro quest’esperienza. Gente ossessionata dal calcio e che vive di calcio; tanto da escludere il mondo esterno e tutti gli annessi e connessi.

E qui veniamo al punto. Hanno funzionato quegli allenatori che sono riusciti a costruire uno straordinario amalgama col gruppo squadra, comprese tutte le fondamentali figure professionali che ormai – nel calcio professionistico – non possono più essere definite di contorno. Coloro che sono riusciti a determinare un’adesione completa al progetto da parte della squadra, separandosi da tutto il resto.

Quindi, proprio l’opposto del core grande che piace sempre alla retorica di cui sopra e, quindi, anche a molti tifosi.

Per carità, come – si dice sempre – i tifosi meritano rispetto e tant’altro. Ma poiché il rispetto risiede nel portare i risultati, allora la logica dei nostri è stata: separiamoci dal mondo avviluppante, dal gorgo caotico della pazza quanto vischiosa allegria napoletana e viviamo monasticamente.

Insomma, calcio totale, ma non nell’accezione degli arancioni olandesi, bensì dell’ossessione fatta assurgere a filosofia di vita.

Così creando un corpo solo allenatore-squadra, che prescinde anche dalla società. Un affiatamento non voglio dire contro, né tantomeno a dispetto del Presidente. Diciamo pure nonostante il presidente e la sua guapperia.

L’esatto contrario di quanto successo quest’anno: con il Presidente al centro della scena e gli allenatori cambiati come camicie sporche.

Ancelotti, sicuramente l’allenatore con il migliore palmares che il Napoli abbia mai avuto (e che forse mai avrà), non ha funzionato perché è caratterialmente e – direi – addirittura strutturalmente differente. Troppo misurato e controllato per aderire a questo schema. Troppo istituzionale. È rimasto nel mezzo fra squadra e società e per questo è incredibilmente diventato il capro espiatorio di una situazione che aveva portato al punto di rottura fra il presidente e i giocatori orfani del fondamentalismo (non soltanto calcistico) sarriano. Qualcosa di analogo è successo anche a Benitez. Gattuso alcune delle caratteristiche descritte le avrebbe anche avute, ma gli mancava l’intelligenza (calcistica) per un’analoga affermazione.

Ecco, allora come dovrebbe essere cercato il prossimo allenatore. Qualcuno che rimetta al loro posto, peraltro di tutto rispetto e di grandissimo rilievo, il presidente e i tifosi, soprattutto quelli organizzati, che mi sembra siano organizzati principalmente nei confronti del proprio tornaconto.

Io il nome lo avrei anche. Ma lascio a voi rifletterci su.

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