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L’Inter ha riletto l’intervista di Acerbi? La libertà di insultare i serbi è una chicca dell’Acerbi-pensiero

Possibile che l’ufficio comunicazione non l’abbia letto? Forse la verità è nell’articolo della Gazzetta sulla voglia del club di sbarazzarsene

L’Inter ha riletto l’intervista di Acerbi? La libertà di insultare i serbi è una chicca dell’Acerbi-pensiero
Mp Bologna 09/03/2024 - campionato di calcio Serie A / Bologna-Inter / foto Matteo Papini/Image Sport nella foto: Francesco Acerbi

L’Inter ha riletto l’intervista di Acerbi? La domanda è più che legittima. L’intervista del Corriere della Sera al calciatore dell’Inter e iper-protetto dalla coppia Spalletti-Gravina, è un boomerang niente male. L’Acerbi-pensiero si dispiega in tutta la sua magnificenza. Nessun accenno a ciò che ha detto a Juan Jesus né tantomeno glielo hanno chiesto, immaginiamo che fosse concordata senza la domanda. Poco importa i due giornalisti sono riusciti a far emergere in maniera nitida l’Acerbi pensiero che è sintetizzato dalla frase che riportiamo integralmente.

I giornalisti dicono: il campo non deve essere una zona franca.

E il signor Acerbi si staglia con un pensiero alla Nelson Mandela:

«Non dovrebbe esserlo, ma si sente un po’ di tutto, anche se ci sono quaranta telecamere. Se l’ arbitro dovesse scrivere con carta e penna tutto quello che sente, dovrebbe correre con lo zaino. Però finisce sempre lì, altrimenti diventa tutto condannabile, anche gli insulti ai serbi, agli italiani, alle madri».

Come dire, e ora non puoi nemmeno dire zingaro a un serbo? E su. Merita un abbraccio supplementare da parte di Gravina, anche un bacio in fronte.

Ci sono alcuni tweet che vale la pena riportare:

Ce ne sarebbero tanti altri. Ci fermiamo qui. Proseguiremo la nostra giornata col dubbio che l’Inter abbia di proposito voluto far emergere la profondità delle idee dell’illustre difensore. Altrimenti avrebbe modificato un bel po’ di risposte. La risposta a nostro avviso è nell’ampio articolo di stamattina in cui la Gazzetta scrive chiaro e tondo che la società nerazzurra vuole sbarazzarsi del difensore.

Di chicche ce ne sono tante altre eh.

Qui c’è una parte dell’intervista ad Acerbi

La versione di Acerbi è affidata al Corriere della Sera con un’intervista.

Comincia con una frase in pieno stile Prima Repubblica:

«Sono triste e dispiaciuto: è una vicenda in cui abbiamo perso tutti». 

Poi dice:

«Adesso che c’è una sentenza, vorrei dire la mia, senza avere assolutamente nulla contro Juan Jesus, anzi è il contrario perché sono molto dispiaciuto anche per lui. Ma non si può dare del razzista a una persona per una parola malintesa nella concitazione del gioco. E non si può continuare a farlo anche dopo che sono stato assolto».

La sentenza non è stata una liberazione?

«Lo è stata, ma nella liberazione sono comunque triste per tutta la situazione che si è creata, per come era finita in campo, per come ci hanno marciato sopra tutti senza sapere niente. Anche dopo l’assoluzione ho percepito un grandissimo accanimento, come se avessi ammazzato qualcuno».

Il razzismo però è una piaga e il calcio viene accusato di non fare abbastanza per combatterlo.

«Ma questa non è lotta contro il razzismo, non c’è stato nessun razzismo in campo e io non sono una persona razzista: il mio idolo era George Weah e quando mi fu trovato il tumore ricevetti una telefonata a sorpresa da lui che ancora oggi mi emoziona».

ll campo non deve essere una zona franca.

«Non dovrebbe esserlo, ma si sente un po’ di tutto, anche se ci sono quaranta telecamere. Se l’arbitro dovesse scrivere con carta e penna tutto quello che sente, dovrebbe correre con lo zaino. Però finisce sempre lì, altrimenti diventa tutto condannabile, anche gli insulti ai serbi, agli italiani, alle madri».

«Tutti avevano già emesso la sentenza prima ancora che uscisse. E per tanti sono razzista anche adesso: sinceramente non ci sto, le gogne mediatiche non vanno bene e soprattutto non servono per risolvere un problema come quello del razzismo che sicuramente esiste. E che non intendo sminuire nemmeno un po’: voglio che sia chiaro».

E qui un’altra, col passaggio sul cancro

Acerbi: «il cancro in confronto è stata una passeggiata, ho visto un accanimento atroce». È un estratto dell’intervista concessa dal difensore dell’Inter al Corriere della Sera. Intervista in cui secondo lui si affrancherebbe definitivamente dalle accuse di razzismo. È al contrario un’intervista in cui emerge perfettamente il personaggio.

È stato più complicato gestire questa vicenda rispetto alla malattia?

Acerbi: «Non c’è paragone, quella in confronto è stata una passeggiata, non ho avuto paura. Invece l’accanimento atroce che ho visto nei miei confronti in questi giorni mi ha ferito. Ho fatto tanto per togliermi l’etichetta che avevo quando ero più giovane e diventare un esempio di costanza e professionalità e ho rischiato di perdere tutto in un attimo».

Che etichetta aveva?

«Di uno un po’ ruspante».

Ha temuto per il prosieguo della sua carriera?

Acerbi: «Se ti danno dieci giornate e passi per razzista cosa fai? Poteva succedere qualunque cosa: sarei stato finito non come calciatore, che mi interessa fino a un certo punto, ma come uomo. Tutti avevano già emesso la sentenza prima ancora che uscisse. E per tanti sono razzista anche adesso: sinceramente non ci sto, le gogne mediatiche non vanno bene e soprattutto non servono per risolvere un problema come quello del razzismo che sicuramente esiste. E che non intendo sminuire nemmeno un po’: voglio che sia chiaro».

Se fosse tornato in campo in trasferta, si sarebbe preoccupato per la reazione dei tifosi di altre squadre?

«Zero».

Si aspetta di essere convocato per l’europeo?

«Io non mi aspetto niente. Ma per adesso preferisco non dire nulla sulla Nazionale, è giusto che prima ne discuta con Spalletti. Sono stanco, dopo oggi metto un punto alla vicenda. E non voglio parlarne mai più».

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