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D’Aversa se la cava con quattro giornate, del resto non gli ha manco fatto uscire il sangue a Henry

La solita grottesca e indecente decisione del giudice sportivo Mastrandrea col suo prezzario all’italiana. Cui ha aggiunto 10mila euro di multa

D’Aversa se la cava con quattro giornate, del resto non gli ha manco fatto uscire il sangue a Henry

D’Aversa se la cava con quattro giornate, del resto non gli ha manco fatto uscire il sangue a Henry

Quattro giornate di squalifica, e 10.000 euro di ammenda. Roberto D’Aversa sconta la cautela, quel suo modo tutto sommato gentile di dare una “capata” a Henry. Non ha affondato il colpo, quando avrebbe potuto. Non l’ha mandato ko. Ha dimostrato evidentemente una continenza che il Giudice Sportivo (Gerardo Mastramdre) gli ha riconosciuto, pur punendolo per avere – leggiamo dal dispositivo – “colpito con una testata al volto un calciatore della squadra avversaria”. Sull’immancabile terreno di “giUoco”.

Ecco quanto vale per la Giustizia Sportiva un tale – palese, indecente – gesto di violenza. Un’aggressione sconsiderata di un allenatore – persona si suppone matura, adulta, persino integrata in una qualche civiltà – ai danni di un giocatore. Quattro partite, che D’Aversa (licenziato dal Lecce) salterà quando – chissà – un’altra società lo riporterà in panchina. Si tratta di una sanzione pugilistica, millimetrata sul danno causato e non sugli effetti denigranti del colpo gratuito. Henry è andato al tappeto, ma poi si è rialzato mentre l’arbitro contava i secondi. Non s’è rotto il naso, non c’è stato versamento di sangue. Una vittoria ai punti, insomma. Anzi, una sconfitta. Per tutti.

Ci si aspettava una “maxisqualifica”. C’erano un paio di precedenti, a supporto: Delio Rossi, dopo aver pestato Adem Ljajic nel 2012, fu squalificato per tre mesi (che scontò in estate, ma vabbè). E a fine gennaio 2019, in Serie C, l’allenatore della Lucchese Giancarlo Favarin colpì con una testata un avversario, beccandosi una squalifica per tutta la stagione. Ma soprattutto c’è il caso di Fabrizio Castori:
il 20 giugno 2004 a Lumezzane, l’allora allenatore del Cesena colpì il centrocampista del Lumezzane Pietro Strada durante una rissa in campo. Il giudice sportivo squalificò Castori per 3 anni, pena poi ridotta a 2 in appello. Venti anni fa, evidentemente, c’era un’altra sensibilità. O forse le serie minori erano minori anche nella percezione della giustizia.

Per contestualizzare ancora meglio, e fornire un’ulteriore unità di misura della vicenda: quando Mourinho, dopo la finale di Europa League tra Roma e Siviglia a Budapest, definì l’arbitro inglese Anthony Taylor “a fucking disgrace”, l’Uefa lo squalificò per 4 giornate. Parole, non capate.

E invece il Giudice Sportivo ha usato il suo famigerato prezzario, una sorta di breviario che traduce ogni nefandezza del pallone italiano in multe. Una specie di libro delle ricette che per magia butta nella stessa caciara reati di varia natura, di fatto disinnescandoli. I tifosi urlano cori razzisti per tutta la partita contro i napoletani e lanciano fumogeni in campo? 10.000 euro. I raccattapalle rallentano la ripresa del gioco dopo un gol? Sempre 10.000 euro. Stessa giornata, stesso dispositivo. Se butti un bicchiere di plastica dalla curva (uno, contato dagli ispettori federali) sono mille euro di multa, se ne butti tre sono tremila, e se tutto lo stadio invoca la morte di un intero popolo la multa è di diecimila euro.

Poi blaterano di esempi, di funzione educativa, dei “bambini che ci guardano” (ma quando mai… i bambini stanno su TikTok). Non è giustizialismo, è che la bilancia è totalmente starata. La Giustizia Sportiva in Italia funziona tipo la dogana di Troisi in Non ci resta che piangere: vale tutto sempre un fiorino, al cambio attuale.

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