Mazzarri: «Ho pagato il non aver coltivato i rapporti, la mia scarsa empatia come si dice oggi»

L'intervista al Corsport: «La carriera parla per me ma non essendo simpatico, purtroppo anche a qualche giornalista, non ho avuto quello che meritavo»

Mazzarri

Cagliari's Italian coach Walter Mazzarri gestures during the Italian Serie A football match between Inter Milan and Cagliari at the Giuseppe Meazza Stadium in Milan on December 12, 2021. (Photo by MIGUEL MEDINA / AFP)

L’intervista di Mazzarri a Ivan Zazzaroni direttore del Corriere dello Sport. Era il 27 ottobre, meno di venti giorni fa. Ecco uno stralcio.

Il calcio ti ha restituito tutto quello che gli hai dato?

Mazzarri: «Un po’ di meno, un po’ di meno, ma la colpa è mia, non di altri: quando stai in un mondo come il nostro non devi pensare solo a fare l’allenatore, non basta far rendere i giocatori per poi trascurare i rapporti. A 62 anni mi rendo conto che hanno ragione quelli che, magari non conoscendomi, mi considerano antipatico. Ecco, credo di aver pagato un po’ troppo i miei atteggiamenti, la mia ritrosia. Come si dice adesso? Scarsa empatia».

Lasciatelo dire: cercavi insistentemente degli alibi alle sconfitte. Ricordo una frase, ormai storica, «e poi ha cominciato a piovere»…

Mazzarri: «Vedi, Ivan, ho pagato l’antipatia di persone che non vedevano l’ora di attaccarmi e farmi fuori. Di Inter, quell’anno, c’era solo la maglia nerazzurra, basta dare un’occhiata alla formazione per rendersi conto che non era competitiva, non all’altezza del nome che portava. Con l’esperienza che ho oggi non avrei probabilmente accettato, anche se l’Inter è un posto prestigioso. Quando alleni un club di quell’importanza devi poter disporre di una squadra potenzialmente da primi tre posti, altrimenti preparati a essere contestato ogni tre giorni. Un grande equivoco, quell’esperienza. Anche se poi, rispetto a chi è arrivato dopo e a chi mi aveva preceduto, ho fatto meglio. Io quinto, loro ottavi. A volte sento allenatori di squadre importanti che accampano molte più scuse di quelle che accampavo io. Quando perdi non puoi dire “la squadra non è all’altezza del club, del suo blasone”. Se pensi al Napoli, dove ho fatto la storia e si perdeva poco, la quota degli alibi era praticamente azzerata. Certe etichette te le appiccicano addosso quando sei costretto a mentire, a difendere il gruppo».

«La carriera parla per me. Ecco perché, non essendo rimasto tanto simpatico, purtroppo anche a qualche giornalista, non ho avuto quello che meritavo. Ho fatto tre anni alla Reggina, quando arrivai stava per non iscriversi al campionato, cambiammo dodici giocatori dopo la prima di campionato e ci salvammo con tre giornate d’anticipo. Il secondo anno, altri problemi economici, mancavano i soldi per l’iscrizione, venduti tutti, conservammo la categoria. L’ultimo anno la ciliegina sulla torta: dal -15 hai visto come andò a finire. In tre anni risanammo la società. Questi sono dati. Lo stesso è accaduto alla Sampdoria, presa che era dodicesima, arrivammo subito in Europa, si fece una finale di Coppa Italia, valorizzando giocatori come Maggio e Pazzini».

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