I ricordi di Ginulfi: «Maradona non ha mai ripreso un compagno né ha mai reagito a tutti i calci presi»

L'ex allenatore dei portieri del Napoli di Bianchi, scomparso ieri: «Era di un altro pianeta. A volte non si allenava, poi però non saltava un giorno»

maradona tardelli Bruscolotti

archivio storico Image Sport / Napoli / nella foto: Diego Armando Maradona foto Imago/Image Sport

Alberto Ginulfi è morto ieri a 81 anni. E’ stato uno storico portiere della Roma e poi di Verona e Fiorentina, a cavallo degli anni ’70. Cresciuto nelle giovanili della Roma, esordì in prima squadra nel 1962 e vi rimase fino al 1975. Ginulfi è l’unico italiano ad aver parato un calcio di rigore a Pelé, nel 1972, in un’amichevole Roma-Santos. Tutti lo ricordano per quello, complici anche i complimenti ricevuti da O’ Rei. Pochi sanno che Ginulfi ha lavorato anche nel Napoli, ai tempi di Bianchi e Bigon, quando c’era Diego Armando Maradona. La Roma ha pubblicato una vecchia intervista in cui Ginulfi ricorda l’esperienza napoletana.

Ginulfi parla di Pelè e di Maradona.

«Pelè era un fuoriclasse immenso, nessuno gli poteva stare dietro. Diego è stato l’interprete massimo di un altro calcio. Molto più fisico e complicato. Aveva sempre uno o due difensori addosso, non era facile per lui. Eppure, non lo prendevano mai. Forse Pelè avrebbe avuto qualche difficoltà a giocare qui in Europa. Sicuramente avrebbe fatto la differenza allo stesso modo, ma il calcio da queste parti è una cosa diversa. Maradona è stato il più grande, ce l’ho scritto pure a casa su una foto sua con dedica».

Com’era viverlo quotidianamente? Ginulfi:

«A dire il vero non veniva sempre al campo, eh… (ride, ndr). Scherzi a parte, in partita lo abbiamo conosciuto tutti. I gol e gli assist meravigliosi che ha fatto. La domenica si metteva più al servizio dei compagni, piuttosto che pensare alle sue prestazioni. Poi, ovvio, emergeva per quanto era forte. Però, vederlo in partitella ogni giorno, mentre si allenava, era uno spettacolo puro per gli occhi. Diego e Careca facevano cose meravigliose. Giocavano solo a uno o due tocchi».

Ginulfi racconta un aneddoto su Maradona.

«Capitava che mi faceva rimanere in campo dopo l’allenamento perché voleva divertirsi sotto porta a provare rovesciate o tiri al volo raccogliendo i miei cross. In particolare, succedeva quando pioveva e il terreno era particolarmente fangoso. Si divertiva proprio in quelle occasioni. Mi guardava e mi diceva: “Oh, Gino, oggi giochiamo”. Mi chiamava così, Gino. Come facevi a dirgli di no? Era fenomenale, segnava in tutti i modi con quel campo così pesante».

Che persona è stata?

«Un uomo buono, generoso. Posso raccontare un’altra testimonianza in questo senso: un giorno arrivammo tutti al centro sportivo di allenamento nel pomeriggio. Solo che il campo era chiuso perché un magazziniere, che aveva le chiavi di tutto il complesso, si presentò in ritardo, dopo qualche ora dall’appuntamento. Aveva una Fiat 500, che lo lasciò per strada e che fu costretto a buttare. Diego gli comprò la macchina nuova. Questo per dire che persona era. Si appoggiavano in tanti a lui».

In campo, invece, a parte il talento? Ginulfi:

«Era un trascinatore, un autentico uomo squadra. Non l’ho mai visto riprendere un compagno, anzi li incoraggiava e con la sua presenza li faceva rendere al meglio. Non a caso il Napoli ha vinto due scudetti con lui in squadra. Gli unici della storia».

Ginulfi torna sulla mancanza di regolarità di Maradona negli allenamenti:

«A volte capitava di non vederlo, è una cosa che si sa. Ma nella stagione del secondo scudetto del Napoli, da marzo in poi non saltò più un giorno. C’era il campionato da vincere, che poi si vinse, e il Mondiale di Italia 90 da preparare con la sua Argentina. Pure quello ce lo ricordiamo bene…».

Fisicamente, che atleta era?

«Aveva un fisico eccezionale. Ha preso calci da tutti, non ha mai reagito, pur venendo preso di mira spesso. Vinceva le partite da solo. Certo, aveva una squadra dietro che lo supportava, ma lui era di un altro pianeta».

Ginulfi racconta come arrivò a Napoli:

«Mi chiamò Giorgio Perinetti, allora ds del Napoli. Serviva un allenatore dei portieri nello staff di Ottavio Bianchi. Poi sono rimasto anche con Bigon da vice. Anni belli, senza dubbio».

Ha più incontrato Maradona dopo quegli anni a Napoli?

«No, non l’ho più visto. E quando è tornato in Italia quelle tre o quattro volte, aveva appresso tante persone ed era difficilmente avvicinabile. Mi sarebbe piaciuto salutarlo».

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