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Myriam Sylla: «Sono una cittadina d’Italia. Non odio i razzisti, ma evito di perdonare»

A Sette: «Da piccola i compagni mi rovesciavano lo zaino nel pullman, non mi facevano sedere accanto a loro. A un certo punto mi chiesi: sono italiana o no?»

Myriam Sylla: «Sono una cittadina d’Italia. Non odio i razzisti, ma evito di perdonare»
Belgrado (Serbia) 04/09/2021- campionati Europei Volley femminile / Serbia-Italia / foto Imago/Image Sport nella foto: Miriam Sylla-Paola Egonu

Sette, settimanale del Corriere della Sera, intervista Myriam Sylla. Dall’estate 2021 è la capitana della Nazionale femminile di volley e una delle eccellenti protagoniste del campionato di serie A, ora con la maglia di Monza. La storia che la riguarda, fatta di dolori, tenacia e riscatto, affonda le radici in Africa:

«Il legame con la Costa d’Avorio sarà eterno. Non ho mai avuto modo di conoscerla, prima o poi rimedierò. Sono andata via quando avevo 5 anni, poi ho vissuto Palermo, grazie ai miei nonni, fino ai 14. Quando lo sport mi ha riempito le estati, non sono più potuta tornare. Ma un mese fa ho fatto una sorpresa alla nonna, che non mi vedeva da un bel po’: mi ha trovato un po’ cresciuta…».

Nonni “speciali”, li ha definiti la Sylla:

«Sono angeli. Mio padre è stato fortunato a incontrare quelle due persone. Se mia nonna non gli avesse dato un passaggio, non so proprio che cosa sarei stata. Papà era arrivato a Bergamo. Dormiva alla Caritas. Ma faceva freddo e mio zio soffriva: così si trasferirono al Sud. Una sera quella signora, rientrando a casa in macchina, vide mio padre e lo aiutò. Lui cominciò a lavorare per la famiglia, quindi mia mamma lo raggiunse: quando nacqui io, queste due persone si affezionarono. Alla nursery facevano vedere a mia nonna tutti i bimbi bianchi. E lei: “No, è quella lì”. L’infermiera strabuzzava gli occhi…».

Myriam Sylla, un’italiana che si sente sempre siciliana?

«Ma se sono siciliana non sono forse italiana? Sono cittadina d’Italia, io sono ovunque. A Palermo c’è il mio inizio ed è il luogo dei nonni adottivi. Ha sole, caldo, allegria: mi assomiglia».

Due anni da capitana della Nazionale: quanto è cresciuta Myriam Sylla grazie a questa esperienza?

«Moltissimo, soprattutto in termini di senso di responsabilità. All’inizio credevo che essere la capitana mi avrebbe cambiato poco o nulla, ma così non è stato. Ho scoperto che devi occuparti non solo di te stessa ma di più persone e soprattutto devi comprendere bene che cosa possa generare ogni tua azione. Quindi devo rispondere alle compagne di quanto faccio».

Lei riesce a perdonare chi dà del “negro”?

«Che lo dica per insultare o tanto per parlare, io correggo sempre. E spiego che i compagni mi prendevano in giro, mi svuotavano lo zaino nel pullman e non mi facevano sedere accanto a loro. Non gliela farei passare liscia: non odio, però evito di perdonare».

Si diceva che lei a scuola tirasse i banchi. Sylla:

«Mamma mia, è la solita storia che si ripete: è capitato solo una volta… A casa regnava la povertà e io cercavo di essere pacata. Poteva allora capitare che a scuola sfogassi quello che avevo dentro: oggi non rifarei nulla, ma si sbaglia per imparare».

Si è battuta per lo jus soli…

«Non avrei dovuto? Per 10 anni ho avuto un passaporto verde, pur non essendo stata in Costa d’Avorio ed essendo nata e vissuta in Italia. Ad un certo punto ho avuto una crisi d’identità e mi sono detta: sono italiana oppure no?».

 

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