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Rocco Hunt: «Ho rifiutato di scrivere l’inno del Napoli, era più giusto che lo facesse un napoletano doc»

Al Corsera il cantante salernitano: «Un giorno papà mi ha visto provare le mosse di rap e hip-hop. Sconsolato, ha guardato il quadro implorando la grazia: “Padreppìo aiutalo tu”»

Rocco Hunt: «Ho rifiutato di scrivere l’inno del Napoli, era più giusto che lo facesse un napoletano doc»
Db Bologna 16/06/2019 - Europeo Under 21 Italia 2019 / Italia-Spagna / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Rocco Hunt

Il Corriere della Sera ha intervistato oggi Rocco Hunt, pseudonimo di Rocco Pagliarulo, cantante e rapper italiano di Salerno che nel 2014 si è imposto sulla scena vincendo il Festival di Sanremo nella sezione “Nuove proposte” con il singolo Nu juorno buono.

Le chiesero di scrivere l’inno del Napoli, disse di no.

«Sarebbe stato un grandissimo onore ma era più giusto che lo facesse un napoletano doc, che se lo sente sulla pelle».

Rocco ha raccontato spesso della sua infanzia, delle difficoltà in cui è cresciuto

«Sono cresciuto in una stanzetta con la muffa alle pareti».

«La casa era umida, specie d’inverno, ma non c’erano i soldi per chiamare il pittore e togliere le macchie. Però le canzoni più belle le ho scritte lì, anche Nu juorno buono. Avevo fame di vita, di emozioni, di conoscenze».

In quella cameretta è iniziato il suo percorso musicale, osservato anche dal ritratto di Padre Pio

«Tutti i ritagli di stampa che parlavano di me. E il ritratto di Padre Pio, quello stava in ogni stanza della casa. Un giorno papà è entrato e mi ha visto provare le mosse di rap e hip-hop. Sconsolato, ha guardato il quadro implorando la grazia: “Padreppìo aiutalo tu”»

Chi sono i suoi migliori amici nella musica?

«Clementino, ci frequentiamo da tanto. E Geolier, fenomeno del momento, usciamo insie- me quando passo per Napoli. Da piccolo era un mio fan, ha voluto la torta di compleanno con la mia faccia sopra. Rappresentiamo il riscatto di noi che cantiamo in dialetto, ormai è stato sdoganato».

C’era già stato Pino Daniele.

«Le radio passavano solo le canzoni in italiano. Zio Pino. Ho avuto l’onore di cantare con lui al Palapartenope. L’avevo incontrato negli studi di Radio Dj, mi ero imbucato per conoscerlo. “Uè uagliò, che tieni da fare a dicembre?”. “Niente, Maestro, specie se mi volete voi”».

Chiama Maestro anche Gigi D’Alessio?

«Con Gigi ho più confidenza. Poi c’è Eros, tra noi c’è un grande affetto. Registravo nel suo studio, facevo una cover di Edoardo Bennato: Un giorno credi. Entrò e cantò con me il ritornello. Ho un buon rapporto anche con Jovanotti, l’anno scorso sono stato al suo Jova Beach Party, abbiamo suonato insieme, forte, è stato di ispirazione per il mio percorso».

 

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