Al CorSera: «Berlusconi mi fece sostenere dei test psicologici con dei cacciatori di teste. Tirò fuori gli esiti quando mi affidò la panchina»

Il Corriere della Sera intervista Fabio Capello. Parla della sua infanzia a Pieris.
«Vivevamo in sei con lo stipendio di mio papà, maestro elementare. Non erano certo anni di agiatezza, abitavamo in una casa popolare. Mia sorella dormiva a casa degli zii perché non c’era posto per tutti».
Capello racconta di suo padre, che conobbe l’orrore dei campi di concentramento perché rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò. Dice che l’insegnamento che gli ha trasmesso è quello di provarci sempre.
«Avevo 16 anni e da qualche mese mi ero trasferito a Ferrara per giocare nella Spal. Contemporaneamente studiavo all’istituto per geometri e per comunicare dovevo mandare due lettere la settimana a casa. Stavo attraversando un momento di spaesamento e avendo ridotto la corrispondenza mio padre se ne accorse. Un giorno uscii da scuola e me lo ritrovai davanti. Pensai “chissà come è arrabbiato”. Invece mi disse una sola parola, “provaci”. Quel monito mi ha guidato per tutta la vita, per affrontare ogni sfida con coraggio».
Capello parla del suo rapporto con Silvio Berlusconi.
«È sempre stato ottimo, da quando da neo presidente del Milan mi fece diventare assistente di Liedholm e poi suo
sostituto nel 1987 nelle ultime sei gare di campionato. Mi fece sostenere dei test psicologici con dei cacciatori di teste. Tirò fuori gli esiti quando, dopo Sacchi, mi affidò la panchina della prima squadra».
E della differenza tra Agnelli e Berlusconi.
«L’Avvocato arrivava, faceva battute fulminanti e ci salutava. Era circondato da un’aura di superiorità. Berlusconi invece era carismatico e accessibile allo stesso tempo».
Come ha vissuto Capello, schivo per carattere, gli entusiasmi dell’ultimo scudetto della Roma?
«Sono stati cinque anni favolosi, anche se vissuti da un’angolatura particolare. Alla ricerca della migliore sistemazione, son rimasto nell’appartamento a Mostacciano, con vista sul raccordo anulare. Ma i festeggiamenti li hanno fatti solo i tifosi. Ero abituato, negli altri club, a feste pazzesche fino alle 5 del mattino, con le famiglie. Invece la cosa assurda fu che non si organizzò una cena a livello societario. Quella sera andai al ristorante per i fatti miei. Quando ci fu l’evento al Circo Massimo, avevo già comprato i biglietti per uno dei miei viaggi avventurosi e, offeso, partii».
Capello racconta di un litigio furioso con Gullit.
«Con Gullit quasi venni alle mani, non ricordo se per un ritardo. Sono rigido nel pretendere il rispetto delle regole, ai miei giocatori dicevo di trattare gli inservienti come volevano che i loro genitori venissero trattati dagli altri».