E’ la sua scommessa vinta, ricostruire la macchina perfetta del City col solo scopo di mettere lui e la palla davanti alle porte avversarie

C’è stato un tempo, nemmeno un anno fa, in cui in parecchi storcevano il naso per l’acquisto di Haaland. Riuscirà Guardiola – si chiedevano – a far coesistere quella formidabile macchina da gol individuale che è Erling Haaland con il “suo” gioco? Come se per il gioco “suo”, di Guardiola, fosse un fastidio avere una futura probabile Scarpa d’oro. La risposta, a posteriori, è che basta guardare il quadro da lontano: the big picture. E scoprire così che le costruzioni di Guardiola seguono un “pattern”, uno schema di crescita. Che fa così: prima i gol se li spartiscono in gruppo, poi piano piano che il gioco si affina, i gol se li prende in carico il bomber. Fu così al Barcellona, e poi al Bayern Monaco e infine, adesso al City.
Tutto questo lo scrive (meravigliosamente bene) Jonathan Liew sul Guardian. Dice che questo “è il culmine del progetto forse più audace e complesso intrapreso nel calcio inglese. Un club acquistato e rimontato con l’unico scopo di assemblare e allenare una squadra il cui unico obiettivo è lanciare la palla in aree offensive pericolose, ancora e ancora e ancora e ancora”.
“Al Barcellona, i gol sono stati inizialmente divisi tra Samuel Eto’o, Thierry Henry e Lionel Messi. Nell’ultima stagione di Guardiola, nel 2011-12, la squadra era stata completamente ricostruita attorno a Messi, che ha segnato 50 gol in campionato (il secondo con più gol fu Alexis Sánchez con 12). Il bomber Robert Lewandowski al Bayern Monaco è emerso solo nell’ultima stagione di Guardiola. Il tempo di Guardiola al City ha seguito un andamento simile: solo una volta che le parti costitutive sono a posto si è sentito pronto ad affidare le responsabilità del gol a un unico talento generazionale”.
Ora al City “tutto è curato e modulato per un unico scopo: presentare Haaland con la palla il più vicino possibile alla porta”.
Poi Liew si concentra su Haaland stesso: “Cosa dobbiamo fare di questo strano orco del gol, il prodotto genetico di un incontro tra il centrocampista degli anni ’90 Alf Inge Haaland e Tekken 3 su Playstation? C’è, forse, un tedio insito nell’esistenza del marcatore in carriera, questa ricerca in gran parte poco affascinante della brutalità: gol facili, gol brutti, gol inutili, i gol che nessuno ricorda. Quanti dei 260 gol di Alan Shearer in Premier League sono stati veramente memorabili? Quali sono i momenti che stimolano l’anima? In parole povere: c’è qualcosa di più in questo fenomeno norreno elfico dei freddi numeri?”
Liew scrive che “c’è una coerenza curiosa e ipnotizzante nel modo in cui segna i suoi gol“. E che “c’è un elemento teatrale in Haaland: lo spettacolo viscerale e spesso elettrizzante di un omone che semplicemente si scrolla di dosso altri omoni e butta la palla in rete”. “C’è un intelletto all’opera, una mente che vede angoli e spazi prima che si sviluppino, che fiuta le debolezze in difesa, che impara sul lavoro”.
E insomma, proprio per avere la controprova, priviamo a “considerare un universo alternativo senza di lui. Diciamo che al posto di Haaland, il City avesse preso un attaccante simile, e chiamiamo questo personaggio immaginario, ai fini dell’argomentazione, Wout Weghorst. Scambia Haaland con Weghorst – lasciando tutto il resto invariato – e il City è fuori dalla corsa al titolo già a Natale”.
Per l’editorialista del Guardian Haaland “è stata una scommessa sontuosa che ha dato i suoi frutti. C’è una sorta di audacia nel rimodellare l’intera squadra attorno a un attaccante che non ha mai giocato in Premier League, che non è mai stato capocannoniere in nessuno dei campionati nazionali in cui ha giocato”.