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Gaia Tortora: «Un ex pm e un pentito hanno provato a chiedermi perdono. Cercano solo visibilità»

A Il Giornale: «Malagiustizia e mala-informazione sono andate a braccetto per spolpare un essere umano e quelli intorno a lui».

Gaia Tortora: «Un ex pm e un pentito hanno provato a chiedermi perdono. Cercano solo visibilità»

Il Giornale intervista Gaia Tortora, figlia di Enzo. Ha scritto un libro dedicato all’errore giudiziario che ha distrutto la vita di suo padre e quella della sua famiglia. Si intitola “Testa alta”, è edito da Mondadori. In esso, Gaia Tortora definisce l’arresto di suo padre «uno dei più clamorosi casi di malagiustizia che la storia italiana ricordi, ma anche un calvario umano che sarebbe durato anni, deviando il corso di tante vite».

Tortora parla di malagiustizia e mala-informazione che sono andate a braccetto.

«Malagiustizia e mala-informazione sono andate di pari passo: non posso assolvere nessuna delle due. Ovviamente, certa magistratura e certa informazione. Ma sono andate a braccetto per spolpare un essere umano e, di riflesso, quelli intorno a lui».

All’inizio, quando Tortora fu arrestato, la famiglia e i legali erano certi si sarebbe risolto tutto nel giro di poche ore. Invece Enzo Tortora fece sette mesi in carcere e quattordici ai domiciliari. In tutto ci vollero quattro anni affinché la sua assoluzione venisse sancita definitivamente dalla Cassazione. Alla figlia viene chiesto se si è spiegata questa persecuzione. Risponde:

«Negli anni ho pensato al fatto che quella fosse la prima grande retata contro la Nuova camorra organizzata, con ottocento e rotti arresti, anche se poi duecento sono stati assolti. Però doveva stare in piedi… Altrimenti è un problema, dopo che hai arrestato un personaggio così noto e popolare…».

La Tortora ricorda le frasi di Camilla Cederna, le definisce aberranti e la giornalista un’«intellettuale da bar».

«Mi riferisco alla frase aberrante della signora Cederna secondo cui “non si va ad ammanettare uno nel cuore della notte se non ci sono delle buone ragioni”. Direi che di intellettuale, in questa frase, c’è poco. Se riesci a dire una cosa del genere… Ma io ho più speranza nelle persone normali che negli intellettuali».

L’unico a leggere le carte del processo fu Feltri.

«Feltri fu l’unico a prendersi la briga di non fare come il resto dei colleghi che seguivano il processo: in albergo sfogliò il faldone del caso e capì che qualcosa non tornava. Mi chiedo perché non l’abbiano fatto anche gli altri: in fondo, è semplicemente fare il nostro lavoro, leggere gli atti e farsi venire delle domande, senza pregiudizi o tesi precostituite. Sarebbe interessante chiedere a loro perché».

Nel libro, Gaia Tortora scrive: «Mi disgusta che lo Stato non si sia fatto in alcun modo carico di questo tragico errore giudiziario, così come che i giudici che l’hanno perseguitato non solo sono stati assolti in tutte le sedi deputate al loro giudizio, ma sono addirittura stati promossi». Commenta:

«Eh sì, è così. Hanno fatto tutti carriera. Non è il Paese del merito. E poi immagini anche solo i costi economici per
sostenere le spese per avvocati, carte, viaggi… Devi essere quanto meno risarcito economicamente, e il giudice che
ha sbagliato deve pagare, non essere promosso».

Dopo poco più di un anno dal ritorno in tv, il 18 maggio 1988 Enzo Tortora morì. Alla figlia viene chiesto se è morto a causa di tutto quello che ha dovuto affrontare. Risponde:

«Non posso dirlo. Però penso che una “bomba atomica”, come la chiamava lui, che ti esplode dentro, in qualche modo lavora al tuo interno. Una cosa del genere ti trasforma».

È vero che qualcuno ha cercato il suo perdono?

«Sì, sia un ex pm, sia uno di quei cialtroni, perché non posso chiamarli pentiti; ma non se ne parla proprio. È gente in cerca di pubblicità, che qualcuno gli ha dato».

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