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Gaia Tortora: «Sarebbero bastate 48 ore per capire che le accuse contro papà erano false»

Al Corsera la figlia di Enzo Tortora: «Ci fu dolo, papà era l’uomo più popolare d’Italia. Parlare di lui fece fare un salto di qualità all’inchiesta e ai pentiti»

Gaia Tortora: «Sarebbero bastate 48 ore per capire che le accuse contro papà erano false»

Il Corriere della Sera, con Fiorenza Sarzanini, intervista Gaia Tortora figlia di Enzo Tortora. Gaia Tortora, giornalista, ha scritto il libro «Testa alta, e avanti» in cui ricorda come cambiò la vita sua e della sua famiglia quando arrestarono il padre – allora famosissimo personaggio televisivo – vittima di un clamoroso errore giudiziario.

«Ironico ma tagliente, riservato, mai mondano, fumantino. E poi dolce, comprensivo, attento. Ma questo era prima. Il dopo era uguale tranne che negli occhi. Ecco, gli occhi poi sono diventati diversi». C’è un prima e un dopo nella vita di Gaia Tortora. Il dopo comincia un giorno che non potrà mai dimenticare: 17 giugno 1983.

Quel giorno suo padre viene arrestato con l’accusa di traffico di stupefacenti per la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Lei aveva 14 anni e quel giorno fece l’esame di terza media.

«Quando mio padre è uscito dalla caserma dei carabinieri con le manette ai polsi erano tutti accaniti. Urlavano, qualcuno l’ha insultato. Ma io mi riferisco soprattutto a quello che è successo dopo. Era chiaro fin dall’inizio che l’inchiesta fosse piena di incongruenze e nessuno ha voluto vedere. Nessuno si è mai posto domande. E allora chiedo adesso: come mai soltanto Vittorio Feltri si prese la briga di leggere gli atti e scrivere che forse la realtà non era come la stavano raccontando?».

Lei che risposta si è data?

«Mio padre in quel momento era l’uomo più popolare d’Italia. La sua trasmissione aveva ascolti che oscillavano tra i 28 e i 30 milioni di telespettatori. Un risultato mostruoso, ora vedo persone esultare quando arrivano a un milione di spettatori. Dava fastidio, ma nello stesso tempo parlare di Tortora faceva fare un salto di qualità ai pentiti e all’inchiesta. Per questo dico che c’è stato dolo».

«Sarebbero bastate quattro verifiche sulle cose che raccontavano i pentiti e in 48 ore tutto si sarebbe chiarito. Ne cito soltanto due così si comprende bene. Nell’agendina di Giuseppe Puca, uomo di Cutolo, erano riportati due numeri di tale “Enzo Tortona”, che nei verbali diventò “Enzo Tortora”. Eppure nessuno si prese la briga di controllare, di provare a chiamare. Il giorno in cui Gianni Melluso raccontò di aver consegnato a mio padre una scatola di scarpe piena di droga in realtà era rinchiuso nel carcere di Campobasso. Ma questo fu Feltri a scoprirlo, non i magistrati».

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