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Pupi Avati: «Dalla era un assatanato delle ragazze, poi la mamma gli fece fare una cura di ormoni…»

A La Stampa: «Glieli diede perché non cresceva e questo ha avuto riflessi in ambito sessuale. Diventò ispido e peloso, chiuse tutti i rapporti con gli amici».

Pupi Avati: «Dalla era un assatanato delle ragazze, poi la mamma gli fece fare una cura di ormoni…»
Db Milano 11/11/2009 - presentazione libro Lucio Dalla / Foto Daniele Buffa/Image nella foto Lucio Dalla

Il 4 marzo Lucio Dalla avrebbe compiuto 80 anni. Pupi Avati, che era un suo grande amico, lo racconta in un’intervista a La Stampa.

«Lo rivedo bambino, a 3-4 anni, sul palcoscenico dei teatri di Bologna dove era la star, cantava, ballava, zampettava, chiudeva lo show in un tripudio di successo, frac e il cilindro in testa. Sui manifesti dello spettacolo parrocchiale della domenica il nome più grande era il suo. Era l’attrazione della serata, un bambino bellissimo, travolgente, avremmo voluto essere tutti come lui e, infatti, per tutta la mia vita, ho desiderato essere Lucio».

Avati elogia l’intelligenza speciale di Dalla.

«Lucio aveva in sé qualcosa di misterioso e sacrale, la sua era un’intelligenza speciale, era una sorta di tuttologo, capiva di tutto, quando vedeva i miei film scopriva cose che io stesso non sapevo di averci messo».

Racconta come è cresciuto Lucio Dalla, in particolare, della cura ormonale che gli fece fare la madre e che, a detta di Avati, ne condizionò i gusti sessuali.

«La parabola di Lucio è stata come un viaggio siderale. Dopo la stagione d’oro dei teatri parrocchiali ha avuto una penalizzazione fisica esplicita, che ha gettato nel panico la madre. Lucio non cresceva, la mamma gli fece fare una cura a base di ormoni che in qualche modo lo ha compromesso. Non solo non è cresciuto, ma a un certo punto Lucio è diventato ispido, peloso. Non so se questo mutamento abbia avuto riflessi in ambito sessuale».

Avati spiega:

«A Lucio, nel periodo in cui suonavamo insieme, piacevano moltissimo le ragazze, era un assatanato delle donne, era innamorato pazzo della sorella dell’impresario Cremonini, l’attrazione per il mondo femminile era in lui presente e inequivocabile. Poi, a un certo punto della sua vita, qualcosa cambiò. È una storia che ho in qualche modo trasferito nel mio film “Regalo di Natale”, ho raccontato il cambiamento di sessualità di uno degli amici. Allora era diverso, non è come oggi, certe cose si vivevano con impaccio e imbarazzo. Lucio chiuse tutti i rapporti con le persone del prima, credo anche un po’ per quella ragione. È un problema che tutti noi amici abbiamo vissuto, io di sicuro. Con Lucio, in tutta la mia vita, ho parlato di qualunque cosa, tranne che di questo aspetto. Mai».

Avati racconta la generosità professionale di Lucio Dalla che faceva da contraltare alla sua tirchieria.

«Lucio è sempre stato di un’enorme generosità professionale, non economica… da ragazzi, a Bologna, lo chiamavamo tutti “il ragno” perché non aveva mai offerto un caffè a nessuno, era di una tirchieria pazzesca».

Il regista racconta il rapporto di Dalla con la religione.

«Lucio era molto legato alla spiritualità, all’idea religiosa del dopo, dell’aldilà, un’attitudine rara. Perfino per chi, come me, vuole essere credente, è difficile essere convinto che arriverà un momento in cui potrò rivedere mia madre. La mia ragione mi censura, vorrei crederci, ma non ci riesco. In Lucio questa fiducia c’era. Quando morì sua madre, cui era affezionatissimo, fece fare al carro funebre l’intero giro dei colli bolognesi in modo, mi disse, che potesse vedere Bologna da tutti gli angoli. Lucio andava sempre a messa, era un praticante assiduo, aveva il senso del sacro e lo si avverte in tante sue canzoni. Per essere poeti bisogna avere quel senso, bisogna riuscire ad andare oltre l’area del pensabile. Un’area che è in ognuno di noi, ma che in Lucio formava un tutt’uno».

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