Dal Corriere del Mezzogiorno. Alle radici dei black-out. Anche i fuoriclasse possono spegnersi. L’eccellenza vive su un equilibrio sottilissimo

Che cos’è successo al Napoli? Trovare con precisione la causa della sconfitta di Milano e soprattutto dell’irriconoscibile atteggiamento è quasi un esercizio di rabdomanzia. Non apparteniamo a coloro che spiegano il calcio con la tattica né con le statistiche, quindi non approfondiamo il tema. Ci sarebbe poi la pista della approssimativa condizione fisica. Uno dei tanti tam tam cittadini accredita una forte preoccupazione a causa di una sbagliata preparazione atletica in Turchia. Ipotesi che non ci convince. Anche perché è un concetto novecentesco quello del lavoro di fondo in grado di condizionare un’intera stagione. Eviteremmo infine l’approdo scaramantico: anche nell’87 il Napoli perse la prima partita dopo il Natale. È vero, ma la perdemmo anche nell’88, proprio a Milano contro il Milan di Sacchi. In quegli anni, il Napoli perdeva sempre dopo Natale.
L’aspetto da approfondire, a nostro avviso, è un altro. Nello sport non si vince mai per caso né tantomeno per dono divino. Si vince perché si è più forti dell’avversario ma quel “più forti” contiene tanti aspetti, non solo quelli tecnici. Si vince perché si raggiunge l’equilibrio perfetto tra tecnica, fisico e mente. I grandi campioni sono coloro i quali riescono più spesso e più rapidamente degli altri a raggiungere questa condizione. E a mantenerla più a lungo. Ma, attenzione, accade persino ai fuoriclasse di perderla. Gli esempi sono innumerevoli. Ne facciamo uno. La sciatrice Mikaela Shiffrin che sta per battere il record assoluto di vittorie in Coppa del mondo. È con ogni probabilità la sciatrice più forte di tutti i tempi. Ebbene, pochi mesi fa, naufragò clamorosamente alle Olimpiadi. Fu un disastro, e poiché gli A16 sono ormai un fenomeno mondiale, venne persino presa di mira, offesa e insultata sui social.
La storia dello sport è zeppa di protagonisti che “improvvisamente” si spengono o si accendono. Perché l’agonismo professionistico si gioca su un equilibrio sottilissimo. Basta un niente per ritrovarsi senza il terreno sotto i piedi o al buio. Ormai le pagine di sport sono piene di interviste ad atleti che provano a spiegare quanto sia faticoso essere sempre al top e quante rinunce comporti il successo.
È macchiettistico pensare che la vittoria sia un atto dovuto. La vittoria è la risultante di tante componenti. Il Napoli in casa della Cremonese vinse perché aveva consapevolezza e aveva raggiunto quella condizione di grazia che consentiva alla squadra di essere sempre dentro la partita. E anche perché era in una fase che possiamo considerare ascendente. Contro l’Inter la squadra di Spalletti non era dentro la partita. È stato ancora più evidente dopo il vantaggio interista. La squadra non ha mai mostrato quella determinazione, quello spirito agonistico che nella prima parte di stagione aveva consentito di rimontare e recuperare tante partite, anche su campi complessi. Va anche sottolineato che il Napoli fin qui ha sempre giocato con leggerezza, senza alcun assillo, senza alcun dovere di vincere. Dopo il Mondiale è invece cominciato un altro campionato. In cui il Napoli è il netto favorito. Ed è obbligato a vincere. La prospettiva cambia.
Ora la domanda successiva è: in quanto tempo si recupera quello stato di grazia? Qui, per quanto lo sport vada a braccetto con la scienza e la tecnologia, una risposta è impossibile. È un’alchimia che sfugge a qualsiasi algoritmo. Anche se l’aspetto mentale è ormai preponderante in ogni sport e un club al passo con i tempi non può non dotarsi di specialisti del settore, di professionisti che curino la capacità di migliorare le performance all’aumentare delle difficoltà emotive. È quasi l’abc, come avere una palestra in un centro sportivo.
Infine, la componente ambientale, quel che in Spagna definiscono “entorno”. Si è voluto accreditare il concetto distorto di aver già vinto o di poter vincere il campionato con chissà quante giornate d’anticipo, senza soffrire. È un’assurdità. Ogni successo comporta una sofferenza. Perché dietro ogni successo sportivo c’è un cambiamento, c’è un atleta o un gruppo di atleti che riescono ad andare oltre i propri limiti. È questo il fascino dello sport.
Essere bravi conta, ma fino a un certo punto. Il tennista Fabio Fognini, ieri in un’intervista a La Stampa, ha detto: “se non sei allenato non vai da nessuna parte. È il grande talento allenato bene che eccelle, in tutti gli sport: Federer, Messi, Valentino Rossi”. E per allenamento si intende tutto. Oggi questo è lo sport. Non comprenderlo significa guardare un film e non capirne la trama.
(tratto dal Corriere del Mezzogiorno)