El Paìs: «L’essenza del calcio è nelle cicatrici d’asfalto dei bambini che giocano per strada a Napoli»
"Ancelotti ha torto, se giocare su un campo in cattive condizioni non è calcio, il calcio non esiste. Maradona giocava anche nel fango ad Acerra"

As Roma 14/11/2022 - partita per la Pace / foto Antonello Sammarco/Image Sport nella foto: pallone Maradona
La frase di Carlo Ancelotti sulle condizioni del campo del Cacereño, club di Segunda División spagnola battuto dal Real in coppa solo per 1-0 – «Non si può giocare su un campo del genere. Per me, questo non è calcio, è un altro sport» – ha sedimentato per un weekend, in Spagna. E poi ci è tornata su con mezza pagina su El Paìs la giornalista e scrittrice Lucìa Taboada.
Scrive che no, non è vero: il calcio è invece ovunque ci siano gol e pallone. E cita anche Napoli.
“Se giocare su un campo in cattive condizioni non è calcio, il calcio verrebbe automaticamente invalidato come sport. Sarebbe come il meme di Homer Simpson che entra nel bar di Moe con baffi e cappello a cilindro e dice: «Non sono il calcio, sono lo sport in incognito». Maradona sarebbe, in tal caso, il miglior giocatore di uno sport sconosciuto della storia. Nel 1984, Maradona andò a partecipare a una partita di beneficenza ad Acerra, un piccolo paese a sud-ovest di Napoli, per raccogliere fondi per l’operazione di un bambino. Lo ha fatto senza il consenso della sua società, che temeva un infortunio dovuto allo stato dell’erba, o beh, qualunque cosa fosse. Il fatiscente Stadio Comunale di Acerra era un completo pantano. Nelle foto di quella partita si vede Maradona con il fango fino al petto, come se fosse appena uscito dal Sei Nazioni. Certo, Diego aveva giocato in condizioni molto peggiori. Nella sua nativa Villa Fiorito, il sole trasformava i campi in polvere e la pioggia in fango. I bambini scalciavano la polvere e respiravano ghiaia mentre i nonni guardavano dalle loro sedie”.
“Un paio di mesi fa ero a Napoli in gita quando, passeggiando, è successo un fotogramma di Paolo Sorrentino, più che una scena. Davanti alla Chiesa del Gesù Nuovo alcuni bambini hanno preso a calci un pallone e lo hanno inseguito da un lato all’altro della piazza. Non c’era quasi nessuna illuminazione dai lampioni, quindi i bambini giocavano praticamente con il riflesso della Luna. Erano le otto di sera. Lo so perché le campane della chiesa hanno cominciato a suonare. Il prete è apparso in piazza, si è acceso una sigaretta e ha cominciato a incoraggiare i bambini. A Napoli, città con pochissimi spazi verdi, le ginocchia dei giocatori portano tutte le cicatrici dell’asfalto”.
E non è solo questione di cliché, il Sudamerica o Napoli. “Molti calciatori della Premier League hanno imparato a giocare a calcio direttamente sul cemento delle strade. Un fotografo di nome Michael Kirkham ha passato anni a collezionare fotografie di porte disegnate con il gesso sui muri, sui lati di pub, fabbriche, magazzini o case nei sobborghi di Liverpool, Leeds, Bradford o Sheffield. Il suo progetto si chiama Urban Goals. A volte le porte non sono nemmeno descritti da linee dipinte, ma utilizzano telai di metallo arrugginito. Tutti i campi da calcio raccolti da Kirkham parlano della disuguaglianza economica delle periferie inglesi prive di impianti sportivi. Ma parlano anche dell’essenza del calcio – un’espressione che odio ma dovevo usare – o come si chiama la partita quando si svolge in un luogo senza erba luccicante o carta da parati immacolata. È terribile per me andare contro Ancelotti, ma il calcio, se c’è un gol e un pallone, è sempre calcio”.