Nibali: «Ho vinto perché mi arrangiavo, se arrivavo allo sprint con altri sei ero sicuro di arrivare settimo»
A L'Equipe: "Chi è più lento deve essere più intelligente. Io ero una testa di mulo, uno spirito libero. Ma se non prevedevo tutto ero fottuto"

Tignes (Francia) 26/07/2019 - Tour de France / foto Panoramic/Insidefoto/Image Sport nella foto: Vincenzo Nibali ONLY ITALY
Vincenzo Nibali parla a L’Equipe. Che per il ciclismo è una bibbia. E L’Equipe lo introduce come “il più grande corridore italiano del secolo, senza dubbio anche quello più versatile della storia, non ha mai smesso di attaccare, sconvolgendo l’ordine costituito per vincere”. Nibali è un “Campionissimo, il rango più alto nella simbologia ciclistica”.
Nibali pensionato dice che ha “finito l’ultima stagione in ottima forma, dopo due anni terribili dove non mi sono mai sentito bene. Per fortuna nel 2022 mi sono divertito molto. Sono arrivato quarto al mio ultimo Giro d’Italia, un risultato incredibile che non mi aspettavo”.
“Ho sempre cercato di correre d’istinto, seguendo le mie sensazioni. Non avevo altra scelta: non essendo mai stato il più veloce in volata, dovevo attaccare, a volte da lontano, per fare la differenza contro i miei avversari e provare a vincere. Perché chi è più lento deve essere più intelligente. Per vincere dovevo arrivare al traguardo con il minor numero possibile di rivali. Lo sprint è sempre stato il mio punto debole. Quando arrivavo con altri sei corridori, sapevo che sarei arrivato sesto o settimo. Se non lo prevedevo ero fottuto, dovevo arrangiarmi diversamente. Se fossi stato un po’ più veloce avrei vinto molte più gare…”.
All’inizio non era così: “Incasinavo le gare, in gioventù. Sono stato sgridato dai miei direttori di gara, anche dai miei compagni di squadra, perché mi vedevano sprecare tante energie per niente. Non era bello, ad essere onesti. Ma col tempo sono riuscito a leggere meglio la gara, a capire quali fossero i miei punti di forza e quali errori avrei dovuto evitare. Non ho iniziato a vincere gare importanti fino all’età di 25 anni, quando ho finito per essere più concentrato, più calcolatore, dove ho smesso di spendere tutte le mie energie per niente”.
Però “ho sempre corso con molta libertà, senza pensarci troppo. Sono anche un una testa d’asino, che è sia una qualità che un difetto”. “Sono sempre stato uno spirito libero”. “Nella vita di tutti i giorni, dopo aver realizzato qualcosa, puoi dire a te stesso: va bene, ci sono riuscito, e rallenti. In una carriera sportiva di alto livello, è proprio in questo momento, dopo aver vinto qualche bella gara, che le cose si fanno difficili. La cosa più complicata è reinventarsi e continuare a correre dei rischi dopo aver raggiunto determinati obiettivi. Senza quello, impossibile durare”.
Nibali dice che il Covid ha cambiato anche la mentalità dei ciclisti in gara. “Quando sono diventato professionista, il gruppo vedeva le corse in modo diverso, le mentalità non erano le stesse. Dal Covid in poi nessuno ha paura di attaccare da lontano. Tutte le squadre, tutti i corridori competono nelle gare per vincerle. Prima, a inizio stagione, potevi fare una gara tranquilla, come se fosse un allenamento. Non esiste più. Oggi è tutto, subito. Ai miei tempi quando diventavi professionista, avevi ancora tutto da imparare. Oggi un giovane con un potenziale viene subito gettato nel mucchio. Ha personal trainer, nutrizionisti. Cresce molto più velocemente di prima. Ammiro molto questa nuova generazione, di Remco Evenepoel, ma anche di Tadej Pogacar, che per me è il corridore più completo al mondo oggi. Spero di averli ispirati”.