Al Corsera: “A Sanremo mi trattarono come se fossi sceso dal barcone. Poi con Pino diventammo amici, spesso passava il Natale da me”
Gigi D’Alessio intervistato dal Corriere della Sera, a firma Giovanna Cavalli. Ha spesso detto cose interessanti e non banali. Lo ha fatto anche stavolta.
I critici musicali con lei erano piuttosto schizzinosi, la relegarono nella categoria dei neomelodici e arrivederci.
«E li ringrazio, mi hanno dato la forza di non mollare. Quando sono andato a Sanremo, anno 2000, sembrava che fossi appena sceso dal barcone, contro di me c’era razzismo culturale, come se potessi cantare soltanto di vicoli e sceneggiate. Che poi in Non dirgli mai c’era una sola frase in napoletano. E oggi in molti conservatori la studiano come trattato di armonia».
I rapporti turbolenti con Pino Daniele.
«Rapporto turbolento, ce ne siamo dette di tutti i colori. Eppure eravamo nati a venti metri di distanza nel quartiere Santa Chiara, i nostri genitori giocavano a carte insieme. Avevamo pure la stessa casa discografica, però non eravamo amici, anzi. Finché un giorno, nel 2008, Pino mi telefonò: “Prima ca’ ci amma appiccicare (che finiamo per litigare) ci vulimme conoscere?”. E poi mi invitò al suo concerto. Mai preso tanti fischi come quella sera. Però da allora non ci siamo più persi, spesso passava il Natale a casa mia, tra risate e bicchieri di vino».
Racconta che suonava ai matrimoni.
«Ero un bambino già vecchio, ultimo di tre fratelli, Pietro aveva 10 anni più di me, Maria 11, stavo sempre con persone più grandi. Quando mi chiamavano per i matrimoni — eravamo un quartetto, io stavo alle tastiere, quindi ero il capo orchestra anche se il più piccolo, e a molti, per questo, giravano le scatole — non mi davano nemmeno i soldi, soltanto la bomboniera degli sposi che per me era un trofeo».
La più brutta di sempre?
«Un pierrot con la lacrima disegnata».
«Erano ricevimenti interminabili, arrivavamo all’una e non andavamo via prima delle tre del mattino. Solo per suonare la marcia nuziale dovevamo aspettare almeno due ore, perché la sposa andava a rifarsi il trucco e l’acconciatura».
Una volta però, aspetta, aspetta, ma la sposa non si è più vista.
«Fuggita con il testimone, portandosi via pure le buste con i soldi. E alla festa è scoppiata la rissa. I parenti si sono presi a mazzate, volavano sedie e bottiglie, ce ne siamo scappati pure noi».
Dal 1989 al 1992 pianista di Mario Merola.
«Un personaggio unico, di grande carisma, eravamo come padre e figlio. Un pezzo di pane, l’uomo più buono al mondo, anche se nei film faceva il cattivo, il guappo, il carcerato, il mammasantissima. Girare a Napoli con lui era come passeggiare a New York con Sinatra».
E una sera d’inverno, nella Grande Mela…
«C’era un suo concerto e, in contemporanea, uno di Lucio Dalla, poco lontano. Davanti al teatro, con trenta centimetri di neve, si formò una fila chilometrica. A un certo punto arrivò pure Lucio. “Tanto da me non è venuto nessuno”. Grande Lucio, generoso. Parlava bene di me. “Questo sa leggere la musica come nessuno”».