Simon il “professore” del tennis tattico: «Facevo sbagliare tutti, con me Djokovic fece 100 errori»
Si ritira. A Parigi il suo ultimo torneo. L'epica sfida con Nadal. A L'Equipe: "Non mi hanno mai detto che sarei stato forte, e mi sono adattato"

Mi Roma 09/05/2010 - Internazionali d'Italia / Roddick-Simon / foto Marco Iorio/Image Sport nella foto: Gilles Simon
A 37 anni, Gilles Simon sta per giocare l’ultimo torneo della sua carriera. Con una wild card al Masters 1000 di Parigi-Bercy, affronta al primo turno un altro grande veterano, Andy Murray. Una gran chiusura per uno dei tennisti più sottovalutati degli ultimi anni, ma soprattutto simbolo del tennis mentale, tattico, pensato. In un mondo di colpitori-e-basta emblema di una razza in via di estinzione. Lo chiamavano “il professore”. Uno che si è tolto lo sfizio di battere Federer, Nadal e Djokovic. Tutti e tre. E’ stato anche numero 6 al mondo. Ha parlato in una lunga intervista a L’Equipe.
Nel 2009 era all’apice: “Avevo già battuto tutti i Big 3. Nella mia testa, potenzialmente, nulla mi impediva di diventare il numero 1. Sembra arrogante, ma la mia logica è sempre la stessa: questi ragazzi sono dei mostri ma li ho battuti. Sono più forti, ma non sono così lontani”.
Racconta la genesi del suo tennis ultra-tattico: “Mi è sempre interessato, in realtà. È correlato alla mia stazza. Pesavo tre chili, ero alto 1,20 m con le braccia alzate, non avevo potenza ma avevo un cervello: non so fare un tiro vincente, quindi metto la palla in campo. Allora, come lo vinco il punto? Quando ti insegnano la tattica, lo fanno con la logica di un attaccante. Non corrispondeva al mio profilo, giocavo troppo piano. Quindi, mi sono detto che dovevo far sbagliare il mio avversario. Ho una ricerca del punto debole dell’avversario che è colossale”.
Racconta la sua partita simbolo: quella in cui proveniente dalle qualificazioni, ha battuto Tomas Berdych agli Australian Open del 2006: “Ne parlo con nostalgia. E’ la partita che meglio si adatta a me, al mio stato d’animo e alla mia visione del tennis. A Melbourne venivo da una serie di nove successi consecutivi, una situazione che normalmente non accade mai. Il mio livello di fiducia è massimo, ma sono esausto. Devo trovare un modo per vincere velocemente contro un ragazzo più forte di me, Tomas Berdych. Cambio come non mai: un punto lungo qua, un missile là, una prima di servizio a 120 km/h… Il giorno in cui fui soprannominato “il Professore”.
E anche quando ricorda come ha battuto Nadal e Federer parla sempre di “problemi” e “soluzioni”. Il tennis come un enigma. Prima Nadal
“Qualche settimana prima del Torneo Indoor di Madrid nel 2008, a Toronto avevo battuto Roger. Una partita che mi fa ridere, perché prendo 4-0 in tre minuti ma finisco per trovare una piccola soluzione, poi una seconda, ecc. e avevo risolto il problema. Tuttavia, continuo a pensare che la partita contro Rafa a Madrid sia stata la più grande vittoria della mia carriera (in semifinale, 3-6, 7-5, 7-6). Un po’ un miracolo. Che arriva dopo una serie di miracoli per tutta la settimana. Nadal era il numero 1, aveva vinto Amburgo, Roland, Queen’s, Wimbledon, Toronto e le Olimpiadi! Quella partita è stata una corrida e il toro ero io. Ma dato che avrei dovuto perdere dieci volte in settimana, avevo questo distacco che è un punto di forza. Perfetto stato d’animo. Abbiamo giocato per più di tre ore. All’epoca non mi dava fastidio”.
Racconta di quando un giorno, al primo turno degli Australian Open 2014, era quasi alle stampelle e quindi… decide di tirare tutto e giocare serve and volley: fece 32 ace in una sola partita. Un’altra volta costrinse Novak Djokovic a commettere 100 errori gratuiti”.
Chiude come aveva cominciato, il Professore: non riesce a giocare bene, non vince più. Amen. “Non posso più essere in forma per cinque partite di fila. Quindi non ha senso continuare”. Logico.