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Bisio: «Salvatores è un secchione pazzesco: studia e legge come un matto»

Al CorSera: «Girammo Mediterraneo nell’anno di Italia 90. Non c’era il televisore. Con Abatantuono e Salvatores facemmo una colletta per mandare a comprarne uno a Rodi».

Bisio: «Salvatores è un secchione pazzesco: studia e legge come un matto»

Il Corriere della Sera intervista Claudio Bisio. A scoprirlo, nei primi anni ‘80, fu Gabriele Salvatores, che lo fece entrare nel Teatro dell’Elfo. Sempre con Salvatores, nel 1983, il debutto al cinema con «Mediterraneo», vincitore dell’Oscar nel 1992. Bisio dice di dovere tutto a lui. E lo descrive.

«Un secchione pazzesco; uno che studia, guarda, vede, legge come un matto. Un atteggiamento che stupisce rispetto alla sua apparente leggerezza, al fancazzismo che sembra attraversarlo. Le prove con lui si trasformavano sempre in una partita di calcetto; non a caso si circonda di gente come me, Abatantuono, Paolo Rossi: un gruppo di cazzari».

Racconta il set di «Mediterraneo».

«Eravamo su un’isola allora sconosciuta, c’era il cartello con la scritta Qui inizia l’Europa, eravamo isolati da tutto. Era l’anno del Mondiale di calcio, Italia 90, e non c’era nemmeno un televisore. Si figuri: io, Abatantuono e Salvatores senza televisore durante i Mondiali. Abbiamo fatto una colletta e mandato uno a Rodi — otto ore di traghetto — per comprare un televisore in bianco e nero. Vedevamo le partite spostando ogni cinque minuti a mano l’antenna. Per me non esiste Schillaci, io lo chiamo ancora Schillazzi perché sentivamo il commento in greco».

Bisio ha diviso molti palchi e una grande porzione di vita con Paolo Rossi.

«Ha pochi anni più di me ma l’ho sempre considerato un fratello maggiore. Ci vedevamo al Derby, che era ben diverso dallo Zelig: era il locale notturno della mala, il pubblico era fatto di gente che arrivava dalle corse dei cavalli, maîtresse e biscazzieri; non era semplice far ridere quel tipo di spettatori».

Paolo Rossi portava in quell’ambiente i monologhi intelligenti di Stefano Benni. Bisio gli riconosce il merito di aver unito cabaret e teatro.

Bisio è stato due volte al Festival di Sanremo, con Fazio e con Baglioni.

«La prima volta ero rilassato, portai un testo di Michele Serra eccezionale, giocato sul finto populismo, invitavo a mandarli tutti a casa, ma poi si capiva che era riferito non ai politici ma agli elettori, a tutti noi; è stato una bomba. Anni dopo il clima era diverso e ho fatto una grande fatica: in oltre 40 anni di carriera non mi era mai capitato di essere inseguito da troupe che volevano estorcermi mezza frase, avevamo le guardie del corpo che ci seguivano dappertutto. Io sono uno che ha sempre parlato apertamente, magari anche dicendo cazzate, ma non ho mai avuto paura di espormi, dire come la penso. Invece in quei giorni lì avevo paura».

Un grande successo cinematografico è stato «Benvenuti al Sud», remake del francese «Giù al Nord», in coppia con Siani. Racconta un aneddoto di vita.

«Quando arrivavo al Sud, io all’inizio andavo in giro con un giubbotto antiproiettile perché avevo paura che mi sparassero. L’idea di Luca Miniero, il regista, mi sembrava eccessiva, a un certo punto gliel’ho detto: ma siamo sicuri? Non è troppo offensivo? Invece aveva ragione. L’ho visto decine di volte al Sud e ridono sempre tutti».

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