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Jerry Calà: «Nel cinema italiano c’è provincialismo, i registi chiamano sempre i soliti attori»

A 71 anni si prepara a girare un nuovo film come regista a Napoli e racconta a Libero come è cambiata la sua carriera dopo aver abbandonato i cinepanettoni

Jerry Calà: «Nel cinema italiano c’è provincialismo, i registi chiamano sempre i soliti attori»

Libero intervista oggi uno scatenato Jerry Calà che a 71 anni continua a solcare il palcoscenico e non si fa mancare neanche la musica, deciso a non andare in pensione per adesso.

L’attore a febbraio tornerà sul set per girare un nuovo film di cui, da bravo scaramantico, non vuole raccontare nulla, se non che “sarà un film molto originale, ambientato a Napoli”. Intanto però ha ripercorso gli anni della sua carriera e soprattutto il punto di svolta quando decise di abbandonare il filone dei cinepanettoni

«Avevo voglia di sperimentare nuovi mondi, non solo i film delle feste. Mi sono quindi cimentato con il mio primo (e unico purtroppo) ruolo drammatico nel film Diario di un vizio, poi ho lavorato con Pupi Avati, mi sono aperto alla regia… Umanamente è stata quindi una scelta che mi ha regalato molte soddisfazioni, ma forse commercialmente meno. Sono infatti uscito da un carrozzone che macinava miliardi di lire».

Quella di abbandonare il mondo dei cinepanettoni del gruppo Boldi&Vacanze di Natale, è stata una scelta che in parte gli è costata dal momento che quello è rimasto il suo unico ruolo drammatico perché non ci sono state altre offerte

«In parte, forse, ha pesato lo stereotipo. Però bisogna anche ammettere che il film prese molti premi ma incassò poco. Il che era un problema: all’epoca potevi fare il più bel film del mondo ma se cannavi al box office eri finito. Non ti chiamavano più. Oggi è diverso: si perdonano i bassi incassi anche perché ci sono altre fruizioni, come per esempio i passaggi streaming».

Del resto, spiega l’artista, il mondo del cinema in Italia è ancora molto chiuso

«Il cinema è ancora fatto da una compagnia di giro molto chiusa. I registi chiamano sempre i soliti attori: bravissimi, per carità! Però sono sempre gli stessi. All’estero è diverso: non c’è questo provincialismo e prendono anche volti con storie artistiche diverse»

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