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Dolce: «Un’insegnante dell’Istituto Marangoni mi disse freddamente: per me devi tornare in Sicilia»

Dolce e Gabbana intervistati dal Corsera raccontano i pregiudizi vissuti nei confronti di due stilisti: «Ci è toccato di dover rassicurare i nuovi vicini di casa. Temevano che nel palazzo organizzassero feste tutte le sere»

Dolce: «Un’insegnante dell’Istituto Marangoni mi disse freddamente: per me devi tornare in Sicilia»

Il Corriere della Sera intervista Gabbana e Dolce, l’uno nato e cresciuto a Milano, l’altro siciliano che si sente milanese doc dopo essersi trasferito nel capoluogo lombardo a 18anni,

«15 aprile 1978. E proprio come nel film di Totò la prima cosa che ho fatto è stata andare a vedere il Duomo. Ho guardato in alto, ho guar- dato la Madonnina. E ho pregato. Fammi restare a Milano, le ho chiesto nella mia preghiera. Ho chiesto il suo aiuto per realizzare il mio sogno, diventare stilista. Chi viene qui, a Milano, oggi come allora, oggi come cent’anni fa, viene per realizzare un sogno. Grande o piccolo. Tutti con pari dignità. Il mio si è realizzato con l’aiuto della Madonna e con tanto, tanto lavoro. Ma proprio tanto».

Dolce, il sogno di fare lo stilista, da quel 1978, ha mai rischiato di infrangersi? Sarebbe tornato in Sicilia se fosse andata male?

«La cosa che mi ha fatto più male — che per un momento ha fatto vacillare la mia fiducia nel sogno di diventare stilista — è stata la volta che un’insegnante dell’Istituto Marangoni, dove studiavo, mi disse freddamente: per me devi tornare in Sicilia».

I pregiudizi a causa dell’omosessualità sono stati un problema? Milano è davvero più avanti rispetto a altre regioni italiane?

Gabbana: «Le racconto una cosa buffa: i pregiudizi ci sono, anche a Milano, per tante cose, è la vita. Ma a noi è capitato anche di dover affrontare, un po’ a sorpresa, i pregiudizi verso chi lavora nella moda. Pensi che a noi due — e il mio essere siciliano non c’entrava, il problema era il lavoro che facciamo — tanti anni fa è toccato di dover rassicurare i nuovi vicini di casa…».

Qual era il problema?

Gabbana: «Temevano che due stilisti nel palazzo organizzassero feste tutte le sere fino all’alba. Proprio noi! Che per anni, all’inizio, non facevamo neanche le ferie ad agosto perché reinvestivamo nell’azienda fino all’ultima lira. Tuttora, quando arriviamo a casa dal lavoro, distrutti, altro che feste con Madonna — c’è giusto il tempo di cenare, ognuno a casa sua, di fare un po’ di zapping, sfogliare un libro che già ci si chiudono gli occhi. Però negli anni ’80 se dicevi che lavoravi nella moda la gente ti guardava strano. Settentrionale o meridionale che fossi».

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