Peppino di Capri: «Eduardo De Filippo mi disse di cambiare mestiere: “Guagliò, arapete ‘nu ristorante!”»

Al Corsera: «Con Mina giravamo in Lambretta alle tre di notte a svegliare i pescatori per farci cucinare. Era una bonazza»

Peppino di Capri

Peppino Di Capri racconta delle sue serate a Ischia con Mina, sulle pagine del Corriere della Sera

«Io e Mina, che si chiamava ancora Baby Gate, ogni sera cantavamo in due locali rivali, a cento metri l’uno dall’altro, io al Rangio Fellone, lei al Moresco. E quando finivamo, verso le tre di notte, passavo a prenderla con la mia Lambretta rosa salmone — l’avevo comprata grigia, poi me l’ero fatta ridipingere da un amico carrozziere — e insieme andavamo a svegliare qualche pescatore per farci preparare un piatto di spaghetti: chi ci apriva, chi ci mandava a quel paese. Eravamo diciottenni e spensierati, lei simpaticissima e, se mi posso permettere, una bonazza che si faceva notare»

Un’infanzia difficile, passata in povertà con i giocattoli usati passati dai vicini e un piccolo pianoforte scordato su cui ha imparato a suonare da solo

«Ogni fine settimana mia sorella Margherita, tre anni più di me, mi accompagnava all’hotel Morgano Tiberio, dove alloggiava il generale Mark Clark».

Le davano la paghetta?

«Sul piano c’era un piatto d’argento per le offerte, ci mettevano le Am-lire, banconote quadrate. Tornato a casa, svuotavo le tasche e andavo a letto. E la mattina, per farmi stare sveglio a scuola, mamma mi preparava tanto zabaione».

L’incontro con i Beatles per cui nel 1965, Peppino Di Capri, apriva tutti i concerti italiani.

«Non ci hanno mai rivolto la parola per tutto il tour, il massimo della concessione è stata una foto insieme, pure un po’ scocciati. Dormivamo nello stesso hotel, loro avevano requisito un piano intero e noi, dalla nostra stanza, li guardavamo fare il bagno in piscina».

Chissà cosa sarebbe successo e avesse ascoltato Eduardo De Filippo che gli consigliò di cambiare mestiere.

«Albergo di Napoli, tramonto, entro, lui è in poltrona che legge il giornale, gli occhialini sulla punta del naso. “Guagliò, arapete ‘nu ristorante!”. Apriti un ristorante. Non gli piace come canto, ne dedussi. “Ricordati che la gente dovrà sempre mangiare”, aggiunse. Dopo sei anni lo incrocio di nuovo, stesso hotel, stessa poltrona, stessa posa. “Guagliò, t’aje araputo ‘o ristorante?”. Il dubbio che non gradisse mi è rimasto».

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