Al Messaggero: «Senza dischi e concerti sarei già morto. Sono stanco. A 77 anni sto ancora in pista, magari
meriterei una festa».

A 77 anni, James Senese continua ad esibirsi in concerto. Stasera sarà a Roma con il tour legato all’album James Is Back. Il Messaggero lo intervista.
«Senza dischi e concerti sarei niente. Forse sarei già morto. Sono stanco, non lo nascondo. Ma appena salgo sulla pedana gli acciacchi e la stanchezza scompaiono. Il pubblico è sempre così affettuoso, poi. Si entusiasma in modo tremendo, scegliendo di venire ad ascoltare una musica che per noi è normale, ma non lo è».
Spiega:
«Siamo abituati alle canzonette che girano oggi, ormai. Assuefatti. Nessuno prende direzioni diverse, alternative. Io mi sento un extraterrestre, nella scena musicale italiana».
Non c’è nulla che valga la pena ascoltare nella nuova musica che circola oggi.
«Non c’è niente da ascoltare. Sa qual è il fatto? Che io e quelli della mia generazione, al di là della gavetta, che per come la vedo io resta sempre fondamentale se vuoi fare questo mestiere, avevamo alle nostre spalle un sentimento molto forte. Che i ragazzini di oggi non hanno. Si chiama: motivazione. I giovani di oggi l’hanno persa. Non sono motivati».
Dice che quando lo chiamano “maestro” gli sembra gli venga dato un contentino.
«Dovrebbero fare qualcosa di più per me, che a 77 anni sto ancora in pista. Continuo a suonare e a cantare i vinti, quelli che non hanno mai avuto voce. Io gliel’ho data con l’energia e la rabbia del mio sax, con coraggio e determinazione. L’anno prossimo cadrà il quarantennale dell’uscita del mio primo album, James Senese: magari una festa me la merito».
Parla di vecchi pregiudizi, anche tra i napoletani.
«I napoletani avrebbero dovuto identificarsi in me, ma per alcuni il colore della pelle è stato per diverso tempo un limite, nonostante io sia napoletano di nascita e non abbia mai lasciato questa città. Il lavoro che ho fatto è stato cercare un unico suono: quello della verità, il mio essere nero e bianco. Per potermi ritrovare e rintracciare la mia identità. Le canzoni mi danno una carica emozionale notevole: per me rappresentano il presente, ma anche il futuro. Sono molto di più che semplici canzoni: lo specchio della mia vita. In questi brani si sente il soffio del mio cuore».