Evra: «C’era un compagno alla Juve che piangeva per un film, l’ho raccontato a tutti per sfotterlo. Ero un robot»

"Non ho pianto per 40 anni, ero insensibile. Da quando ho smesso di giocare sono rinato, oggi posso essere chi voglio. E piango tantissimo"

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Per decenni Patrice Evra non è mai riuscito a piangere. Film tristi, lutti… niente. Insensibile anche nelle gioie. Vinci la Champions? Lui sorrideva, ma dentro “ero un robot”.

Racconta che una volta alla Juve, ha beccato un compagno che piangeva tantissimo. “Gli ha chiesto cosa avesse e lui: ‘Ho visto un film tristissimo’. L’ho raccontato a tutti i compagni e hanno cominciato a sfotterlo”. Ancora oggi me ne pento”.

L’anno scorso l’ex star del Manchester United e della Juventus ha parlato pubblicamente degli abusi sessuali subiti da bambino: aveva 13 anni e viveva a casa del suo preside perché la sua casa era troppo lontana dalla sua nuova scuola. L’insegnante entrava con la forza nella sua camera da letto di notte e lo toccava sotto le coperte, o lo costringeva a fare sesso orale. L’ha scritto nella sua autobiografia, “I Love This Game”, pubblicata a ottobre.

Evra, nato in Senegal e cresciuto in Francia, parla del suo viaggio da “robot” del calcio al Guardian. Non è sicuro che se si fosse mostrato vulnerabile prima avrebbe resistito nel mondo del calcio. “C’è una mascolinità tossica. Le persone non sono di mentalità aperta. E non appena dimostri di essere un essere umano, è allora che dicono: ‘Oh, non possiamo andare in guerra con questo ragazzo'”.

Per anni, invece di aprirsi, “il modo in cui ho affrontato gli abusi è stato spegnere tutte le mie emozioni. Non potevo piangere. Non potevo nemmeno essere troppo felice. Non voglio che i bambini vivano nello modo in cui ho vissuto io per così tanti anni. Ero un robot, una macchina, e vincere era tutto ciò che importava“.

Pensava che quando avrebbe smesso si sarebbe depresso. “Ma in realtà sono più felice che mai. Sono libero. Non sono più in quella scatola. Posso fare tutto. Se voglio essere serio, se voglio essere un clown, se voglio motivare le persone. Questa è vita. Posso essere chiunque io voglio essere”.

Ora piange un sacco, anche per le piccole cose. “Prima se piangevo mi chiedevo subito: ‘Oh, cosa stai facendo?’ Oggi, se vedesse quel compagno di squadra della Juventus che piangeva davanti a un film, invece di prenderlo in giro, il Patrice di adesso direbbe tipo: ‘Oh, fammi vedere il film e piangiamo insieme'”, dice. “Posso piangere dalla felicità. Posso piangere se guardo un film. Non è essere morbidi. Piangere è un segno di forza”.

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