Allegri: «Dybala deve tornare a essere se stesso, c’è stato un momento in cui pensava di essere il nuovo Messi»
A Dazn: «Un giocatore non può emulare o pensare di essere come un altro. Ha ancora tanto da dare, gioca in modo divino».

Db Torino 06/02/2022 - campionato di calcio serie A / Juventus-Hellas Verona / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Massimiliano Allegri-Paulo Dybala
Il tecnico della Juventus, Massimiliano Allegri, ha rilasciato una lunga intervista ad Andrea Barzagli per Dazn. Oggi Tuttosport la riporta integralmente. Tanti i temi trattati, a partire da quello della leadership.
«O ce l’hai o difficilmente ti viene a una certa età. In questo gruppo, Chiellini è stato importante, come anche te Andrea, come Buffon o Marchisio, parlando degli italiani. Per il futuro ci sono due leader, De Ligt e Locatelli. Manuel è stato un ottimo acquisto, potrà essere il capitano, ha le caratteristiche tecniche e morali per stare tanti anni alla Juve. Poi, quest’anno è stata una piacevole sorpresa Danilo: quando parla non è mai banale e mette davanti la squadra. Un vero leader è silenzioso, deve parlare poco e deve mettere sempre davanti la squadra. È la squadra che ti riconosce come leader».
Su Dusan Vlahovic:
«Vlahovic può essere un leader a modo suo, ha un carattere leale, vuole sempre vincere, più che con le parole, diventerà un leader carismatico in campo a livello caratteriale. Mi emoziono ancora se penso alle annate trascorse con grandi giocatori che mi hanno insegnato e dato tanto. Con loro ho avuto anche degli scontri, ma il campione non è quello che esce dallo spogliatoio, sconsolato, e chiama il procuratore. È quello che tira fuori l’orgoglio, ti dimostra che è ancora un campione e così in campo vince le partite»
Sulle filosofie di gioco:
«Chi vince non potrà mai giocare male. Però anche chi gioca bene, perde e viene criticato perché non arriva il risultato. Quando sei in campo non c’è un metodo unico per vincere: bisogna avere giocatori molto bravi, metterli nelle giuste condizioni e dargli un’idea. La differenza è che quando alleni una grande squadra, l’obiettivo è arrivare a vincere. Tutti vogliamo giocare bene, ma è una parola astratta perché alla fine ci si ricorda della rovesciata fatta da Ronaldo qui a Torino, non di com’è venuta fuori l’azione. Poi dipende dalle caratteristiche del giocatore, ma soprattutto dal Dna della società, altro elemento che non puoi cambiare».
Confronta la mentalità della Juve con quella del Milan.
«Quando sei in una grande squadra devi vincere. Quindi un metodo lo devi trovare e tutti gli anni non è uguale. Milan e Juventus hanno mentalità diverse. La Juventus ha un Dna ben preciso, dove ogni giorno devi lavorare duro. Oggi è conosciuta tantissimo anche in Europa, tutti parlano del fatto che ha perso 7 finali, ma ne ha giocate 9. Nessuno hai mai parlato del gioco del Real Madrid, ma dei campioni del Real, e tutti parlano del gioco del Barcellona, che ha iniziato a vincere quando sono arrivati Messi, Iniesta, Xavi, Busquets e tutti gli altri, con Guardiola che ha fatto un lavoro straordinario. In Italia andiamo a “scimmiottare” gli altri, invece di lavorare su quelle che sono le nostre qualità. Si rincorre il Barcellona, il Bayern Monaco, il Psg, ma quando rincorri sei sempre dietro».
Su Paulo Dybala.
«Deve tornare a essere se stesso, c’è stato un momento in cui si è fatto trascinare dal fatto che era il nuovo Messi. Un giocatore non può emulare o pensare di essere come un altro. Ha ancora tanto da dare perché ha qualità tecniche straordinarie, gioca in modo divino».
E su Pogba:
«Non tornerà perché lui ha paura di sfidarmi… Prima ha perso con i piedi, poi con le mani, quindi è andato via. Il vero motivo per cui se n’è andato è questo e difficilmente ora torna».