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Edoardo Leo: «Sono il primo laureato nella mia famiglia. Ho appeso il diploma in bagno, sopra la tazza»

Al CorSera: «Da più di 15 anni gioco a calcio con gli stessi amici. Per me è un’oasi, non ci rinuncio mai. Lì conta solo come ho giocato non quello che faccio»

Edoardo Leo: «Sono il primo laureato nella mia famiglia. Ho appeso il diploma in bagno, sopra la tazza»

Voleva fare il calciatore o l’insegnante, è diventato attore, regista e sceneggiatore. Anche un po’ per caso. Edoardo Leo si racconta al Corriere della Sera.

«Andavo ai provini perché volevo pagarmi l’università da solo, volevo dimostrare ai miei che non era una pazzia essermi iscritto a Lettere dopo essermi diplomato a fatica al liceo scientifico. Mi sembrava un lavoro come gli altri: ho fatto il pony express, con un amico scaricavamo il latte di notte, ho lavorato al chiosco del cimitero di Sutri dei miei zii. Puntavo agli spot: poco tempo, buon guadagno».

Ha ricevuto tante bocciature, all’inizio.

«Ci ho sofferto, ho pensato di non essere all’altezza. Ho sviluppato quello che è stato un motore della la mia vita: un senso di rivalsa. Volevo emanciparmi dagli stereotipi. Non ero figlio d’arte e pensavo di poter fare comunque l’artista, non venivo da una famiglia di gente che ha studiato e mi sono laureato, convinto che così mi sarei potuto affrancare dall’immagine del ragazzotto con la faccia da calciatore e le spalle larghe. La voglia di rivalsa se non ti logora ti aiuta. Anche a fare il regista».

Racconta il rapporto con i genitori, in particolare con il padre.

«Ho litigato con mio padre per decenni, ormai il conflitto si è risolto per fortuna. Litigavo per lo studio, mi sono diplomato con il minimo dei voti, lui il diploma l’ha preso alle scuole serali, lavorava, aveva già un figlio. Poi quando ho deciso di fare l’attore, litigate feroci, non ci siamo parlati per un po’ di tempo. Però io studiavo di notte, mai aperto un libro prima delle nove di sera, scrivo di notte anche ora. Per una famiglia di impiegati come la mia, una cosa strana. Sono il primo laureato. Quel 110 e lode aveva anche il valore del riscatto. E ho tenuto fede alla promessa stupida che mi ero fatto: che se avessi preso il massimo dei voti l’avrei messo in bagno. Il diploma di laurea sta lì, incorniciato sopra la tazza».

Tifosissimo della Roma, gli chiedono se preferirebbe un David di Donatello per la regia o cinque minuti in campo all’Olimpico.

«Cinque minuti in campo con la Roma. Magari un David prima o poi arriva. Quando sono in teatro davanti a 3.000 persone da solo, sento una vertigine simile a quella che credo provi un calciatore che segna davanti ai suoi tifosi».

A calcio gioca ancora?

«Da più di 15 anni, con lo stesso gruppo di amici. Uno ha una tavola calda a Montesacro, il Papero giallo, ci  chiudiamo dentro dopo la partita. Per me è un’oasi. Nessuno di loro fa il mio mestiere, ascolto vita, lì conta solo come ho giocato non quello che faccio. Non ci rinuncio mai prendo treni, aerei per esserci. A fare l’attore c’è il rischio di chiuderti in una bolla. Vivere dentro a un Ncc. Preferisco la Vespa».

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