Sacchi: «Il pressing è decisivo, giocare uno contro uno ti permette di essere in parità o in superiorità»

Alla Gazzetta: «In Italia invece partiamo con una sovrabbondanza di difensori. Ora vedo squadre più coraggiose, ma sono soprattutto le “piccole”».

Sacchi Napoli

Db Reggio Emilia 06/02/2016 - campionato di calcio serie A / Sassuolo-Milan / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Arrigo Sacchi

La Gazzetta dello Sport intervista Arrigo Sacchi. Il tema è l’esclusione delle italiane dalle competizioni internazionali, fatte salve Roma e Atalanta. Sacchi propone la sua ricetta: non serve spendere tanti soldi, servono le idee.

«Le idee contano più dei soldi. L’Atalanta ne è l’esempio: è la squadra che ci ha rappresentato meglio, ringraziamola».

Serve un salto culturale.

«Il calcio è sport collettivo e offensivo; noi l’abbiamo interpretato come difensivo e individuale, sperando in difese eroiche e grandi giocate singole! Ma non è questo lo spirito del calcio».

Bisogna inseguire il gioco, dice:

«Il gioco non s’infortuna mai e non va mai fuori forma. Ora vedo squadre più coraggiose, che anche in trasferta vanno all’attacco, che pressano, che si muovono secondo un preciso spartito. Però queste cose le fanno soprattutto le “piccole”, dalle “grandi” invece mi aspetto di più. L’Atalanta, che io considero grande per il valore del gioco, è già a livello europeo, e pure il Milan ha idee che vanno in questo senso. Le altre devono crescere».

Indica in che cosa:

«Nell’autostima, devono pensare di potercela fare, devono voler diventare padrone del gioco. Il possesso palla è importantissimo».

Spiega:

«Il gioco è la trama: bisogna seguirla e per farlo è necessario avere il pallone. Come comportarsi? Pretendendo la massima disponibilità dai giocatori e poi tenendo distanze corrette tra i reparti. E poi c’è un’altra faccenda, posso? Il pressing è determinante e giocare a sistema puro, cioè uno-contro-uno, ti permette di essere in parità o in superiorità numerica. Noi invece partiamo con una sovrabbondanza di difensori: è normale che ci manchi qualcosa».

 

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