Alla Gazzetta: «Scelsi di tifare Roma per ribellione contro mio padre juventino. Non vado mai allo stadio per i derby, ho un problema cardiaco».
La Gazzetta dello Sport intervista Pierfrancesco Favino. Il tema è il derby della Capitale in programma oggi: l’attore è un romanista accanito. Racconta di non andare mai allo stadio per i derby.
«Devo confessarvi una cosa: molto spesso ho avuto i biglietti per il derby e non ci sono andato. È proprio una questione di extrasistole. Non sarò nemmeno a quello di oggi, ma non per paura, è che è più forte di me. Io ho fatto trasferte ovunque, ma su questa partita ho un problema, cardiaco. Quando dico che è una malattia non scherzo».
Parla delle sue trasferte, del suo amore per la Roma.
«Da ragazzino andavo anche a Vicenza, a Napoli, insomma in tutti posti ritenuti pericolosi per le tifoserie avversarie, ultimamente sono stato ad Anfield per la semifinale di Champions. In mezzo c’è stato di tutto. Mio padre era juventino e io per ribellione a un certo punto scelsi la Roma. Lui fece il grande gesto di regalarmi l’abbonamento in curva, ero piccolo, 12 anni, e andavo allo stadio da solo… Stavo in mezzo ai Cucs che mi avevano preso sotto la loro ala. Da lì sono stato in curva per tanti anni».
La miglior Roma che ricorda è quella di Spalletti.
«La più bella da vedere è stata quella di Spalletti, purtroppo lo devo dire… Quella di cui mi sono innamorato è stata la Roma di Liedholm, poi ho avuto la passione per quella di Eriksson, anche se dopo Roma-Lecce mi mandarono via dallo stadio quelli delle pulizie perché non riuscivo a muovermi. Stavo lì con il mio amico Fausto con cui, per farvi capire il livello di malattia, l’estate andavo in campeggio a Riscone di Brunico per seguire il ritiro».
Sullo scudetto:
«È un campionato aperto. Io ho una simpatia per Stefano Pioli e una certa ammirazione per il Milan, ma mi piacerebbe se il Sud si prendesse qualche soddisfazione. Al contempo ammetto di essere una vedova di Dzeko, guardo l’Inter solo per vederlo giocare e mi piacerebbe tanto riaverlo alla Roma, da dirigente: è stato l’ultimo grande calciatore che abbiamo avuto, è di un altro livello, bisogna essere onesti».