ilNapolista

La ridicola retorica sul valore delle provinciali nel calcio, il localismo passionale è una malattia

Tutte queste squadre di provincia (tra cui la Salernitana) non sono che un’ulteriore voce unitasi al requiem aeternam del calcio italiano

La ridicola retorica sul valore delle provinciali nel calcio, il localismo passionale è una malattia

Poiché, per chi scrive, la noia di chi abbraccia la causa delle squadre vincenti è seconda solo alla insostenibile piaggeria di chi lotta per la santa alleanza necessaria tra le piccole del sud per fronteggiare il nord conquistatore, in totale serenità ho provato un rotondo piacere nel vedere il Napoli battere largamente la Salernitana al Maradona (seppur non in totale scioltezza), e non mi dolgo di vedere i granata tra i meglio piazzati per la retrocessione. La carità dei bravi campani che si confederano vale quanto le storie di quelli che vendono rivalità tra città contigue che, nei momenti di massimo astio, si sono sentite al più indifferenti.

Il calcio nasce e cresce ovunque e ciò è una enorme fortuna. Ma i sogni devono essere grandi, come i destini delle squadre e come – piaccia o no – i soldi dei loro investimenti. C’è un movimento trasversale che, per combattere lo strapotere oligarchico di alcuni club, crede sia necessario magnificare la meraviglia di avere in Serie A una miriade di squadre di provincia, senza comprendere che queste ultime non sono che un’ulteriore voce unitasi al requiem aeternam del calcio nazionale. Club e associazioni locali sono la linfa del calcio, ma l’organismo che ne regola la vita sono le grandi società, gli investimenti importanti, le sinergie necessarie.

Francamente non è possibile, in anni in cui persino i virus sono globalizzati, continuare a vedere un campionato di massima serie in cui orbitano squadre microscopiche da mani nei capelli. Ed è una retorica ridicola e spuntata quella di chi gioisce e saluta l’ennesima rappresentativa della città da centomila anime nella massima serie come fosse il trionfo della famigerata “passione”, ignorando che la faccia nascosta di quest’ultima è l’incarnazione del campanilismo italico che ha buone chance di accompagnare, ancor prima del previsto, il calcio nazionale all’obitorio.

Se è raccomandabile incoraggiare i ragazzi, anche nello sport, a provare ad appassionarsi all’underdog piuttosto che al tiranno monopolista di turno, sarebbe parimenti auspicabile insegnare che anche il localismo passionale è una sorta di malattia mentale. L’alternativa non deve necessariamente essere la Superlega, ma se l’idea che abbiamo è di attrarre i più giovani al calcio annegandoli in un mare di cittadine, frazioni, quartieri e località, proprio mentre il consolidamento delle forze è vitale a cercare di rimanere almeno lontanamente rilevanti nei tornei continentali che contano, allora tanto vale tenersi il festival delle castagne e il ballo del pinzillacchero, come recitava il Corrado Guzzanti di qualche eone fa, ed essere contenti di aver vinto un “derby”.

ilnapolista © riproduzione riservata